Amalfi Gigino Aceto ancora “testimonial” contadino volante sul Corriere della Sera Il campanile arabeggiante della cattedrale di Amalfi spunta tra le foglie. Qui i limoni si coltivano su terrazzamenti coperti da soffitti di rami frondosi, verdi per tutto l’anno. E noi siamo nel limoneto più antico e più vicino al centro storico, ricavato quasi nella roccia ai piedi della torre dello Ziro. Di questo giardino si parla in documenti risalenti all’anno 1000; dal 1982 appartiene alla famiglia di Luigi Aceto, 83 anni, che qui tutti chiamano don Gigino in segno di rispetto: «I limoni sono il mio lavoro dai tempi delle elementari – racconta l’anziano coltivatore -. A scuola neppure ci andavo per ripulire, portare via i rami potati, raccogliere e trasportare. Ed ho fatto sempre questo, fino adesso». Un lavoro di forza e agilità, perché in larga parte i giardini amalfitani sono raggiungibili solo a piedi. Le cassette cariche di limoni gialli, pesanti quasi mezzo quintale, si portano a spalle, su sentieri ripidi e scoscesi, scalando i pergolati su carrucole e teleferiche.
Contadini acrobatici
Una coltivazione «acrobatica» di cui don Gigino è il più anziano degli interpreti. Sebbene l’ azienda ormai guidata dal figlio Salvatore conti diversi dipendenti e collaboratori, lui continua a saltare da un terrazzamento all’altro. Si aggrappa all’impalcatura di castagno e sbuca dall’altra parte del tetto, sul gradone più alto: «Il limone richiede il lavoro di un anno, siamo sempre vicini alle nostre piante: potatura, legatura, copertura, scopertura, concimazione, innaffiamento, trattamenti biologici. Si lavora sui pergolati, camminando sulle travi come al circo. Dopo un po’ di tempo ti abitui e e non ci fai più nemmeno caso». Anche a 80 anni passati.
Il pane di Amalfi
Il limone sfusato, detto anche Costa di Amalfi Igp, è un cultivar unico nel suo genere. Si produce in 14 comuni, da Vietri a Positano lungo la Costiera, per un totale di 400 ettari che rendono mediamente ottomila tonnellate all’anno. Ha una forma irregolare e pesa in media più di cento grammi. Da questi limoni prende vita una piccola ma ricercatissima produzione cosmetica e dolciaria, molto pubblicizzata nei viottoli degli splendidi borghi della Costiera. Ma è anche un ingrediente per le cucine di alberghi e ristoranti, un simbolo del territorio anche in cucina: «È un frutto dalle qualità sorprendenti», spiega Mimmo Di Raffaele, dell’hotel Caruso di Ravello. «Dello sfusato amalfitano si usa il cento per cento», afferma lo chef che recentemente ha cucinato per Silvio Berlusconi e Francesca Pascale. «La buccia è pregiatissima, per via dei suoi oli essenziali. Serve ad esempio a produrre il limoncello. Ma la parte che io preferisco è forse quella meno conosciuta: il pane di limone». Il nome tecnico è «albedo», la pasta bianca tra polpa e scorza. I manuali di cucina raccomandano di eliminarla. In quasi tutte le varietà è amara, ma non nello sfusato amalfitano: «Anzi in questo caso è profumata e quasi dolce. Nella gastronomia popolare è un alimento molto diffuso. Io lo preparo all’insalata. In sala servo una versione molto elaborata, l’ho chiamata “pane e pane” perché l’affianco ad una spuma di pane. Ma è molto buona anche preparata nel modo più semplice, un filo d’olio e una spolverata di pepe».
La leggenda di don Gigino
Da quando nel 2013 il «New York Times» gli ha dedicato un articolo, Luigi Aceto è diventato una sorta di attrazione turistica. La sua azienda è meta ogni giorno di schiere di visitatori. Molti scendono dalle navi da crociera per imbarcarsi nel «Lemon tour», una passeggiata su e giù per i limoneti, tra valli verdeggianti che si srotolano verso il mare. A volte hanno la possibilità di farsi guidare direttamente da don Gigino. Il più delle volte, però, il «contadino volante» come lo definisce un’interessante pubblicazione fotografica di Flavia Amabile, preferisce restare a lavorare tra i suoi alberi di limone. La sera, prima di rincasare, passa per il quartier generale della ditta di famiglia, la cosiddetta valle dei mulini. Sotto al braccio, immancabile, penzola un cesto di limoni. «Volete sapere come ho fatto ad arrivare così in forma alla mia età?», domanda con un certo orgoglio. Senza attendere la risposta, estrae un frutto giallo dalla sua sporta, uno sfusato grosso quanto un melone, lo taglia in quattro e poi addenta uno spicchio, con buccia, pasta bianca e polpa: «Il limone l’ho sempre mangiato così, tutt’intero». Fonte con VIDEO Corriere della Sera
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