Nella narrazione culturale della Costiera Amalfitana, non può mancare la tradizione culinaria locale legata in…
Nella narrazione culturale della Costiera Amalfitana, non può mancare la tradizione culinaria locale legata in particolare ai piatti delle feste.
La maggior parte delle pietanze della tradizione risultano ormai una rarità, data la globalizzazione ed il turismo di massa, che nel settore della ristorazione ha portato all’internazionalizzazione del food.
Un tentativo di arginare questo fenomeno è stato fatto con “Il Gusta Minori” ed “Accussi’ Natalea” nel borgo minorese, con la “Festa del Pesce” e la “Sagra della Zeppola” a Positano, con la “Festa del Pesce Azzurro” ad Atrani e la “Festa della Colatura di Alici” a Cetara, non ultima la “Sagra della Castagna” a Scala. Di tutti questi eventi dedicati alla tradizione del cibo però, solo quello scalese non si svolge nel periodo estivo; mentre quello del “Natale” ad agosto è stato ideato, almeno nelle intenzioni, per dare la possibilità a chi visita in estate la Costiera, un “assaggio” della Minori invernale, tuttavia l’idea non si è rivelata affatto fruttuosa ai fini della destagionalizzazione.
Il modesto numero di visitatori invernali non è mutato, gli ospiti di strutture ricettive e quelli giornalieri, seppur entusiasti delle visite culturali ai siti di pregio architettonico, di passeggiate e tour fotografici su percorsi nei borghi o sui sentieri di montagna, relativamente alla scoperta della gastronomia tradizionale, lamentano l’assenza di quelle tante curiose ed inedite prelibatezze della cucina tradizionale, soprattutto di quelle tipicità del “Natale”, l’eccellenza tra le feste.
Come riuscirci? Non resta che puntare alla socializzazione, vero privilegio del viaggio invernale sulla costa: un’esperienza libera dal caos estivo, che permette un’immersione in atmosfere e ritmi locali, nelle tradizioni autentiche dei suoi abitanti.
Stringere amicizie con gli “autoctoni”, può offrire l’occasione di visitare case dal panorama spettacolare, e per i più fortunati anche l’accoglienza a tavole imbandite con alcune misteriose pietanze che di fatto risultano “introvabili”.
Nella menù delle “pietanze introvabili“, troviamo almeno una ventina di piatti, dei quali però più della metà sino destinati purtroppo a restare solo nei ricordi:
Non si può passare per Minori senza assaggiare gli “Ndunderi“, piatto che della festa patronale di Santa Trofimena, anche se di fatto introvabile nei ristoranti. Da una pietanza degli antichi romani, palline a base di farro e latte cagliato, i pastai minoresi ne hanno elaborato una “moderna” fatta di farina, ricotta, formaggio, tuorli d’uovo, condita con ragù di carne ed infornata. Minori infatti è conosciuta nel mondo per la lavorazione della pasta artigianale che viene declinata in svariate forme. Tra queste spicca sulle tavole casalinghe anche la tradizionale ricetta di “Pasta e Fagioli“, pietanza tipica del Natale in questo borgo, come anche la “Scarola Natalina“, scarola riccia, aglio, capperi, acciughe, pinoli ed uvetta, ripassata con maestria in olio extravergine.
Il “Sarchiapone” che di diritto si può definire l’antenato dei cannelloni, è tipico del borgo di Atrani. È tra i piatti introvabili delle massaie atranesi nel giorno della festa patronale di Santa Maria Maddalena. L’ingrediente principale è la zucca lunga di colore verde chiaro, precedentemente svuotata e poi farcita di carne, ricotta e uova a pezzetti. Tagliata in pezzi lunghi quanto un cannellone, viene fritta e poi passata in forno con salsa di pomodoro.
Un piatto invernale della tradizione costiera è senza dubbio l’agnello brodettato aromatizzato con le foglie di alloro, detto “‘O Beneritto“. Presente da secoli nel banchetto pasquale di contadini e padroni, dato che questi animali erano donati dai coloni ai padroni a Pasqua.
A Pasquetta invece, è di tradizione il “Timballo di maccheroni“, con ragù di colarda di manzo e maiale, polpettine, mozzarella, salame, uova, sugna e bucatini, il tutto in una pasta frolla da un centimetro.
Piatto tipico introvabile della cucina paesana ad Amalfi, è quello della “Trippa e patate al sugo“. Dato che solo i ricchi potevano permettersi di mangiare la carne, questo piatto povero, che veniva servito caldo su crostini di pane o pezzetti di biscotto di grano di Agerola, era una specialità della festa.
Un’altra tradizione tipicamente costiera, che sopravvive tutt’ora al tempo e all’insidia delle nuove mode, è il cosidetto “Tortano“: un rustico a base di pasta lievitata con una golosa farcitura. Tipico del periodo di Pasqua è però molto diverso da quello napoletano in ciambella, perché in costiera si prepara in forma tonda, ricoperto di lardo e rosmarino, e si consuma caldo.
I prodotti caseari dei Monti Lattari sono il must più noto e diffuso in tutta la provincia: mozzarelle, caciocavalli, ricotte, provole affumicate, formaggi piccanti. La produzione si concentra nei centri più alti della costa, dove si praticano ancora tecniche di lavorazione tradizionali. Un piatto tipico con l’uso del fiordilatte, è una sorta di “Panzanella di mascuotto” con pane biscottato, fiordilatte e pomodorini. L’uso iconico di mozzarella è però quello sulla pizza, declinata in molteplici versioni. La “Pizza di Tramonti” è una preparazione particolare che deriva da un’antica ricetta medievale: una panella di segale, miglio e orzo che si consumava appena sfornata con spezie e lardo. Agli inizi del ‘900 le famiglie di Tramonti avevano un forno a legna per cucinare il pane biscottato e, per “testare” il forno, preparavano una pizza da condire con aglio, origano, pomodoro e alici di Cetara. L’altra variante è quella con il pregiato fior di latte dei monti Lattari ed il pomodoro corbarino.
Il “Migliaccio” praianese è il piatto del martedì grasso di carnevale, più tipico della Costiera Amalfitana. Ha origini molto antiche ed il suo ingrediente principe è il miglio, cereale legato alla cucina povera partenopea: si tratta di una specie di polenta, in un composto di latte e burro, da amalgamare a ricotta, uova, scorza d’arancio e zucchero, ed infine cotto nel forno.
La Colatura di alici è un discendente del garum romano, ed è una specialità del borgo di Cetara, ormai famosa internazionalmente. Menzionato da Plinio e usato da Apicio, è un condimento che nasce dalla macerazione del dorso delle alici locali. A strati sotto il sale nelle piccole botti di rovere o di castagno, il composto produce un liquido ambrato, che si presta come pregiato condimento per paste o per antipasti. Gli “Spaghetti alla colatura di alici“, olio, prezzemolo, aglio e peperoncino con aggiunta del prezioso ingrediente cetarese, sono un piatto base della vigilia di Natale.
“Totani e patate” è un piatto che ancora viene servito nei ristoranti, soprattuto che di Praiano, il piccolo paese della costiera amalfitana, che prima del turismo viveva di pesca ed agricoltura. Le patate locali sono molto apprezzate poiché nel terreno calcareo ed asciutto dei terrazzamenti, il loro sapore si esalta, e per i totani, un tempo c’era sempre in famiglia almeno un pescatore, così che le massaie sono riuscite a creare questo piatto davvero memorabile.
A Tramonti per i pascoli particolarmente adatti alla specie caprina nasce uno dei piatti più apprezzati ed antichi del territorio: la “Braciola di capra“. La sua ricetta classica, si tramanda da generazioni, si tratta di un involtino di carne di capra ripieno di pecorino ed erbe aromatiche, cotto in umido con sugo di pomodoro, con cui a piacere condire i maccheroni, rigorosamente rigati.
La “Frittata di pasta al limone“, nella sua duplice versione salata e dolce, è una specialità del versante vietrese, anch’essa ormai introvabile. I contadini la utilizzavano come nutriente colazione prima di inerpicarsi sui terrazzamenti dove coltivavano viti e limoni. Nasce dal riutilizzo di avanzi di pasta di tutti i formati, mescolati con uova e formaggio, ed una spremuta di limone rende più profumato e gradevole l’impasto che poi viene fritto in olio bollente. La versione dolce al cioccolato, presente ancor oggi sulle tavole pasquali della frazione di Raito, prevede che gli spaghetti vengano cotti in latte e cannella, e l’impasto con uova, uvetta, canditi, e cioccolato fondente, cotto in forno.
Le zeppole di Natale soprattutto a Positano, sono un capolavoro di tradizione e golosità che si tramanda. La preparazione, detta anche degli “Scauratielli” inizia all’alba della vigilia di Natale. Il nome dialettale deriva dal metodo di cottura che prevede prima della frittura finale e del condimento a base di miele, l’uso di acqua e olio per cuocere la farina e gli altri ingredienti, tra cui sale e scorze di agrumi grattugiate. Da ricordare anche i dolcetti di leggero pan di spagna glassato con zucchero e minuscoli confetti colorati detti “diavolilli”, delle storiche pasticcerie amalfitane, insieme alle pecorelle di zucchero per le scampagnate del lunedì dell’Angelo.
Fra Agerola, Praiano e soprattutto a Ravello, la tradizione prevede anche le “Frittelle di Santa Lucia” con farina di grano duro detta Pappolla o Papocchia, un impasto di farina di mais, acqua e sale, da friggere in olio d’oliva, che si preparano a dicembre per questa festa, legata anche all’antico culto di Cerere, dea romana del grano e dei raccolti.
Le famose “Melanzane al cioccolato” sono una specialità che ha resistito alla sfida del tempo, sono tipiche di Maiori e si preparano ad agosto per la festa di Santa Maria a Mare. C’è chi sostiene che l’invenzione sia dovuta alle suore agostiniane di Santa Maria della Misericordia e chi invece le attribuisce ai frati francescani del convento di Tramonti. La ricetta prevede che le melanzane si friggano prima nude, poi passate in uovo e farina e nuovamente fritte. Spruzzate di rum, vengono passate in zucchero e cacao e poi ricoperte con una salsa al cioccolato, spolverandole di nocciole, canditi e mandorle.
Sulla montiera amalfitana, a Ravello, Tramonti e soprattutto Scala, la regina del territorio è la castagna. Frutto povero apprezzato per la consistenza pastosa e farinosa ed il sapore vagamente dolce, che si presta a numerose preparazioni sia dolci che salate. Definito da Giovanni Pascoli, l’italico albero del pane, ha sfamato nei secoli i poveri abitanti delle zone montuose d’Italia, perché si prestava a trasformarsi in farina per il pane, in paste fresche da cucinare con i legumi, in gnocchi, in zuppe, dolci e soprattutto nel regalare al miele di produzione locale, quel caratteristico aroma e colore “legnoso”. Di tradizione monastica è la ricetta secolare di una zuppa di passato di castagne con verdure, parmigiano, carne da brodo e fette di pane abbrustolito. La “Crostata di castagne” è però la preparazione più tipica di Scala: un dessert molto corposo con l’esterno di pasta frolla, mentre all’interno un passato di castagne e crema pasticcera, cioccolato fondente, rum, vaniglia e frutta candita.
Fonte : PositanoNews.it