Le frodi più comuni sull’olio extravergine d’oliva , come evitare le truffe? Sono tanti nei…
Le frodi più comuni sull’olio extravergine d’oliva , come evitare le truffe? Sono tanti nei campi a lavorare per raccogliere le olive e poi produrre l’olio anche qui in Costiera amalfitana e Penisola sorrentina, sulle colline di Priora a Sorrento, a Massa Lubrense, a Vico Equense . Proprio ieri durante un’operazione della Guardia di Finanza, oltre mezza tonnellata di olio d’oliva è stata intercettata nell’avellinese durante una operazione di contrasto alla contraffazione e sulla sicurezza alimentare. I contenitori, con 660 litri di olio di oliva sono stati trovati all’interno di un’auto nel corso di un controllo stradale. Le due persone a bordo non sono state in grado di fornire documenti che attestassero la provenienza, la produzione, il confezionamento o la destinazione dell’olio. Le etichette riportavano solo la dicitura generica “olio extra vergine d’oliva”, senza ulteriori informazioni richieste dalla normativa comunitaria a tutela dei consumatori. L’intera partita è stata posta sotto sequestro amministrativoDecine di bottiglie di plastica accumulate in un’automobile, altre poggiate nel pavimento di un bagno, tutte prive di etichetta. L’offerta parla di un prezzo “bomba”: 6 euro al litro. Il venditore le offre sulla pagina Facebook di un mercatino dell’usato in Sicilia, garantendo che si tratta di extravergine di olive nocellara della provincia di Agrigento. Una delle tante offerte online che puzzano di truffa. Le frodi dell’olio non sono una novità, ma col nuovo contesto economico proliferano.Tra siccità e inflazione il prezzo è esploso, così l’extravergine è diventato un business appetibile per organizzazioni criminali dedite a sofisticazioni, miscele con oli tunisini e turchi, olio di semi spacciato per oliva.
Una persona che questo mondo lo conosce bene ha confessato a Today.it che le truffe sull’olio extra vergine di oliva sono molto più diffuse di quanto si possa immaginare, ma non bisogna guardare solo alla criminalità né a prodotti provenienti dall’estero. Tanti a suo dire gli oleifici italiani che creano prodotti “borderline”, ma bisogna risalire tutta la filiera per capire meglio questo fenomeno, con le catene dei supermercati che troppo spesso spingono per il sotto-costo. Una pratica che determina pericolosi effetti a catena.
La prima modalità di truffa è la più banale: la quantità. “In molti frantoi interni alle aziende i macchinari sono tarati in maniera che nelle latte da dieci litri, ne finiscano sistematicamente solo nove”, confessa a Today.it la nostra fonte, che preferisce restare anonima. Queste frodi avvengono sulle latte da dieci o venti litri, dove è più difficile verificare e con prodotti destinati soprattutto alla ristorazione. Poi ci sono le miscele. Nelle latte di “extravergine” finisce olio vergine, il lampante o olio di semi, in particolare quello di girasole venduto ad appena 1,25 euro al litro, contro i 9/10 euro di un evo, che arriva anche a 18 euro per prodotti di qualità più alta.
“Le miscele convengono perché attraggono un pubblico che si è abituato a non spendere molto per l’olio, il problema è che spesso non sono dichiarate in etichetta o tendono a ingannare con immagini che richiamano quelle olive che in realtà scarseggiano nella bottiglia”, ha precisato l’esperto. Nell’Unione Europea questi ‘blend’ sono legali, ma devono risultare con chiarezza in etichetta le quantità di ciascun olio adoperato e in ogni caso è vietata la dicitura “olio d’oliva”. In Italia si sono ormai diffusi i cosiddetti “condimenti” a base di extravergine, ma per questi mix di oli vegetali il Consorzio Olivicolo Italiano (Unaprol) ha sollecitato controlli e maggiore trasparenza in etichetta, in attesa di norme più chiare per i consumatori.
I sequestri più importanti di falso extravergine d’oliva
Lo scandalo più grave risale a pochi anni fa, quando un’organizzazione criminale mischiava l’olio pugliese con oli di semi acquistati da grossisti nel Nord Italia. E lì clorofilla a go go per camuffare l’imbroglio. Le latte venivano vendute ai ristoranti di Napoli, Roma, Parma, Milano, Torino, fino a raggiungere la Germania con circa 23mila litri spediti ogni 15 giorni. Casi analoghi sono stati intercettati dalle forze dell’ordine a Roma, Palermo e Napoli.
La repressione non può essere però l’unica strada da seguire: i controlli non riescono a essere capillari e mancano talvolta gli estremi per parlare di truffe. “Gran parte di quello che consumiamo è un olio difettoso, con problemi codificati”, ammette la fonte.
L’olio difettoso e il deodorato
Muffa, rancido e morchia possono essere dovuti all’esposizione all’ossigeno, alla cattiva conservazione delle olive o a sedimenti durante la lavorazione. Il riscaldo, la mosca, lo sporco e il secco sono altri difetti comuni, come pure l’olio inacetito o metallico fino all’olio che sa di legno umido, venendo da olive gelate. Alcuni difetti derivano da “maltrattamenti” subiti dalle olive prima della spremitura, quando vengono schiacciate, ammaccate o hanno iniziato a fermentare.
“Gran parte dell’olio che consumiamo è difettoso, con problemi codificati”.
Altri emergono quando le olive sono rimaste troppo tempo sotto il sole in attesa della spremitura, come spesso avviene in Andalusia, la regione spagnola da cui proviene la stragrande maggioranza dell’olio esportato in tutto il mondo e che ritroviamo in tante bottiglie vendute nei supermercati con marchi italiani. “Gli spagnoli sono diventati degli esperti negli oli deodorati, utilizzando composti chimici in grado di camuffare temporaneamente i difetti che emergono all’olfatto”, spiega la fonte. Gli oli deodorati sono legali, purché i composti rientrino in certi parametri, ma si tratta comunque di un prodotto “cattivo” perché i difetti riemergono dopo pochi mesi e ha una vita più breve.
L’impatto dei supermercati sull’extravergine
Un ruolo importante è quello degli esperti dei panel, chiamati a stabilire se un olio è davvero un evo, ma la loro azione non sempre risulta efficace. “Gran parte degli oli difettosi, nonostante siano stati respinti come evo, riceve comunque l’etichetta di extravergine, finendo sugli scaffali dei supermercati. Questo succede perché la Gdo in molti casi preferisce acquistare un olio a basso costo”, spiega la fonte. L’Evo è uno dei principali prodotti che attrae persone in un negozio, per questo viene usato come un ‘canto delle sirene’ per i nuovi clienti.
Questa pratica starebbe danneggiando numerosi imprenditori, che prima stipulano accordi con la Gdo all’apparenza convenienti, ma che dopo ingenti investimenti ed essersi magari indebitati, si ritrovano a dover soddisfare richieste che non ripagano i costi da sostenere. Ricorrere a una qualche forma di truffa, secondo la nostra fonte, diventa spesso una strada per evitare la bancarotta. La Gdo invece tenderebbe a chiudere un occhio sulla scarsa qualità degli oli, sapendo che in caso di problemi la responsabilità ricade principalmente sui produttori.
La fuga dall’extravergine
Infine ci sono i difetti che derivano da una cattiva conservazione nella catena che va dagli ulivi alla tavola. “Molti produttori consegnano oli privi di difetti, ma quando arrivano sulle tavole il sapore non è buono. Succede perché molti supermercati spingono i produttori a date di scadenza più lunghe e tengono per troppo tempo le bottiglie sugli scaffali, non rispettando i criteri di conservazione, in particolare quelli relativi alla luce che è uno dei principali ‘nemici’ dell’olio”, evidenzia la nostra fonte.
Il problema è diffuso in tutta Italia, dove la cultura su questo pilastro della dieta mediterranea scarseggia nonostante l’altissima domanda. Anche questa però è in calo. Secondo una ricerca dello studio Piepoli, l’aumento del prezzo da 4 a 9 euro a bottiglia sta modificando profondamente le abitudini di acquisto. L’utilizzo dell’evo in cucina è sceso e addirittura il 45 per cento dei consumatori è passato all’olio di semi per la cottura riservando l’oliva per il condimento a crudo. Una vera e propria “fuga dall’extravergine” da parte degli italiani.
La risposta dei produttori di qualità
Questa tendenza preoccupa i produttori onesti, impegnati nel perseguire la strada di un olio di qualità senza farlo diventare un prodotto di lusso. “Per riconoscere un vero extravergine le analisi in laboratorio non bastano, perché il tasso di acidità, uno dei parametri fondamentali che distingue l’Evo, può risultare entro i parametri ma l’odore e il gusto non corrispondono alle caratteristiche richieste. Sono quindi indispensabili anche analisi organolettiche effettuate da panel di esperti, preparati e costantemente allenati”, ha dichiarato a Today.it Antonino Masturzo, produttore, assaggiatore certificato nonché co-fondatore dell’Organizzazione nazionale degli assaggiatori di olio d’oliva (O.n.a.o.o.) di Imperia. Anche lui ritiene che l’operato degli esperti non basti.
Uliveti in Andalusia, l’area della Spagna da cui proviene la stragrande maggioranza di olio prodotto al mondo
Uliveti in Andalusia, l’area della Spagna da cui proviene la stragrande maggioranza di olio prodotto al mondo
“Dopo lo scandalo dell’etanolo il mondo del vino ha avuto una svolta, anche grazie alla diffusione di una cultura della vite. La stessa evoluzione è mancata nel mondo dell’olio, visto ancora solo come un condimento e non come il protagonista di una serata, come accade per una bottiglia di rosso”, mette in evidenza Masturzo. “Il consumatore medio oggi sa riconoscere un vino che sa di aceto o di bassa qualità, ma è difficile che sappia riconoscere i difetti di un extravergine. Tende anzi a confondere per difetti alcuni suoi pregi, come l’amaro o il piccante, perché abituato a un gusto troppo dolce e piatto”, ha aggiunto il produttore, che ha alle spalle quattro generazioni dedicate all’extravergine, prima in Campania e poi in Basilicata.
Diffondere la cultura dell’extravergine
Oggi a prendersi cura dell’azienda c’è una nuova generazione, incarnata dal nipote Gennaro. Tornato a Venosa dopo esperienze di lavoro a Shangai e in Puglia, anche lui promuove la cultura dell’olio come una delle strade anti-truffa. “Abbiamo notato che in Giappone ci sono sia clienti che buyer mediamente più preparati rispetto agli italiani. Consumatori competenti, grazie a corsi e manifestazioni dedicate, sono i nostri miglior alleati, affinché anche la Grande distribuzione smetta di pretendere prezzi troppi bassi che danneggiano i produttori”, ha spiegato il giovane Masturzo.
Oltre a maggior controlli, l’altra strada da percorrere è quella nei campi: “Gli oli italiani risultano più costosi e meno competitivi perché siamo rimasti indietro. È indispensabile modernizzare la produzione con macchinari per la raccolta e tecnologie di precisione che ci permettono ad esempio di prevenire le malattie delle piante e ridurre l’uso di pesticidi. Solo seguendo questa strada si possono abbassare i costi garantendo comunque un olio di qualità elevata”, sottolinea Gennaro.i.
Fonte : PositanoNews.it