Lunedì 15 Gennaio 2018
Il Mattino-Luciano Pignataro
Se il 2017 è stato un anno storico per la pizza napoletana dopo il riconoscimento dell’Unesco dell’arte dei pizzaioli napoletani come bene immateriale dell’umanità, il 2018 è l’anno del consolidamento. La prima precisazione da fare è che il riconoscimento non ha un paletto anagrafico, ma di metodo: non bisogna essere cioé nato a Napoli ma seguire il metodo napoletano così come è ben codificato dal disciplinare Stg.
Mercoledì 17 sarà la prima giornata del pizzaiolo, non a caso: Sant’Antonio è il protettore di tutti quelli che lavorano con il fuoco e nel passato la sua statuetta era sempre sul forno di ogni pizzaiolo come buon augurio. Le fiamme sono evocative, hanno un valore religioso purificatore ed è per questo che le due principali associazioni, l’Avpn presieduta da Antonio Pace e l’Apn presieduta da Sergio Miccù, hanno deciso di rinverdire questa tradizione e di codificarla con l’obiettivo di farla diventare giornata mondiale del pizzaiolo.
Un mestiere che vive con il passa parola che però non ha ancora riconoscimenti ufficiali. E quando si andrà a discutere dell’inserimento di quest’arte come mestiere scolastico bisognerà stare bene attenti a differenziare l’arte del pizzaiolo napoletana da quella di chi segue altri stili che ha una storia molto più recente e che non supera neanche una generazione. Negli anni scorsi infatti abbiamo assistito ad un disegno politico-culturale che tendeva a relegare la pizza napoletana a mero stile regionale, quasi al pari di altri che sono sorti negli anni ‘90 e che propongono un lievitato da forno completamente diverso dalla pizza napoletana.
Una corrente ancora più subdola tendeva a presentare la pizza napoletana come superata e addirittura pericolosa alla salute. Per fortuna il mercato non ha avuto dubbi su quale stile orientarsi e in quest’ultimo quinquennio abbiamo assistito alla rapida diffusione delle pizzerie di stile napoletano oltre la città, non solo in Campania, non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Questo successo ha alla base un duplice motivo: il primo è che la pizza napoletana è identitaria della comunità più popolosa in Italia che non ha rinunciato alle sue peculiarità. Il secondo è che la pizza napoletana è qualcosa di ben distinto dalle focacce e dal pane che sono patrimonio di molte comunità pur nelle variabili diverse. Come ben emerge dal libro del professore Antonio Mattozzi, nell’800 c’era già più di cento pizzaioli in attività impegnati a fare pizze, non pane. Mentre nelle campagne la pizza era prova di pane e veniva cotta in forni a bocca larga, a Napoli ben presto si crea un forno specializzato,a bocca di luna, che consente una cottura più rapida e che crea qualcosa che non è la semplice somma della farina più il pomodoro più l’olio, ma qualcosa di profondamente unico, scioglievole, gratificante a primo appetito come si dice.
Il lavoro fatto da alcuni pizzaioli di nuova generazione ha migliorato questo prodotto in direzione delle materie prime usate e delle tecniche di lievitazioni che, pur tenendo conto dei grandi numeri, hanno dalla loro anche una migliore digeribilità perché si sa che gli stomaci svezzati dagli omogeneizzati sono meno allenati a sopportare carichi pesanti.
Ora un giorno in cui i pizzaioli festeggiano se stessi è esattamente quello di cui c’è bisogno: la ritualità religiosa è quel che serve per rendere irraggiungibile quello che si ottiene dal fuoco di un forno napoletano.
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