Passata l’euforia per il risultato, si inizia a lavorare sul futuro. Il riconoscimento dell’Arte dei Pizzaioli Napoletani all’Unesco è infatti un punto di partenza e non di arrivo. Si tratta infatti di qualcosa di altamente simbolico ma privo di effetti pratici se non ci si organizza e tutto può restare lettera morta, come ad esempio quello ottenuto, pochi se lo ricordano, dal Centro storico di Napoli.
Ieri nella sede dell’Associazione Verace Pizza Napoletana si sono trovati i protagonisti della spedizione di Seul, dove giovedì scorso è stata approvata la proposta italiana: oltre al presidente Antonio Pace, l’ex ministro dell’Agricoltura Alfonso Pecoraro Scanio, il leader della Coldiretti Campania Gennaro Masiello e il presidente dell’Associazione Pizzaioli Napoletani Sergio Miccù. In una sala gremita, il primo impegno è stato assunto dall’assessore Panini: «Nella conferenza dei capigruppo proporrà che il Comune organizzi festeggiamenti solenni per questo evento». Data per scontata anche l’approvazione di erigere una statua del pizzaiolo in qualche luogo da definire, l’altra novità concreta è l’annuncio dato all’unisono dai due presidenti delle associazioni di proclamare il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate protettore di chi fa questo lavoro, giornata mondiale del pizzaiolo rilanciando la tradizione dei «fuochi».
Sin qui le iniziative immediate. Ma i temi sul tappeto sono un po’ più complessi. Il primo riguarda la necessità di non cercare di sfruttare commercialmente questo riconoscimento Unesco. Si è infatti corso il rischio di non ottenerlo sia per festeggiamenti anticipati sia per alcuni entusiasmi sospetti: nessuna pizzeria si potrà chiamare e fare riferimenti all’organizzazione delle Nazioni Unite. E di «pizza Unesco» nei menu manco a parlarne. Ci saranno degli ispettori che vigileranno e le due associazioni hanno già annunciato che costituiranno un comitato di vigilanza per fare causa a chi si muoverà in questa direzione.
Il secondo tema riguarda proprio il bene tutelato che, come è stato ripetuto all’infinito, non è la pizza ma l’Arte dei Pizzaioli Napoletani che ha una sua prima, e per il momento unica, codificazione nel marchio Stg, che è un riconoscimento europeo. Si tratta dell’unica pizza al mondo che è tutelata in questo modo. Nello specifico questo significa che è l’arte, la gestualità, del pizzaiolo napoletano a essere tutelata ma questo non vuol dire che bisogna essere nati a Napoli per godere il privilegio del riconoscimento Unesco proprio perché si tratta di qualcosa di immateriale che può essere trasmessa a chiunque.
Questa, a ben pensarci, è la vera forza dirompente di quello che è successo a Seul perché in questi ultimi cinque anni è esploso il fenomeno della pizza in tutta Italia e molti per guadagnare spazio hanno cominciato a mettere in dubbio non tanto l’origine quanto l’attualità e la modernità della pizza napoletana partendo dagli impasti e proseguendo con molte favolette come quelle del lievito madre superiore al lievito di birra, della salubrità dell’integrale, della qualità migliore delle farine macinate a pietra rispetto all’arte molitoria, pregio italiano, che arriva alla farina 00 con procedimenti meccanici e non chimici. L’Unesco ha invece confermato la tipicità espressiva dell’arte dei pizzaioli napoletani come risultato di uno sforzo colossale collettivo che è maturato nel corso dei secoli.
Non dunque una moda dettata dal singolo individuo, ma la tutela di una memoria collettiva di una comunità che si estende oltre i confini geografici locali per coinvolgere altri operatori in Italia e nel Mondo.
Terzo tema, trattato anche nell’intervista che il vicepresidente Massimo Di Porzio ha rilasciato al Mattino sabato, è quello dell’insegnamento di quest’arte che è poi il miglior modo per tutelare questo bene immateriale. Dunque, non solo l’insegnamento del mestiere del pizzaiolo deve entrare nelle materie scolastiche pubbliche, ma quello dell’arte napoletana che è tutelata dall’Unesco. Forse questa è la sfida più ambiziosa a cui il mondo della pizza è chiamato a rispondere perché gli attacchi sono stati duri e selvaggi in questi anni e molti, anche sui sociale, sono tramortiti dalla invidia e dalla gelosia per questo risultato che conferma, come quello sulla Dieta Mediterranea, che il Mezzogiorno è il principale bacino gastronomico meridionale.
Il motivo? Molto semplice: perché, insieme a quello giapponese, il nostro stile alimentare è quello più salubre perché basato su verdure, frutta, pesce e olio d’oliva. Una verità che ha avuto difficoltà a entrare nell’alta gastronomia perché la cucina dei ricchi per secoli è sempre stata caratterizzata da materie prime di lusso che i poveri non potevano permettersi. Oggi però i ricchi in tutto il mondo iniziano a seguire la dieta dei poveri e dunque è davvero il turno della Dieta Mediterranea e della pizza che ne è l’emblema.
Intanto Napoli si gode il risultato con le pizzerie piene, i turisti e le feste natalizie che si annunciano in sold out sino a gennaio. Luciano Pignataro, Il Mattino
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