Dal Luciano Pignataro Wine and Food Blog
Prima il libro edito da Slow Food, Pizza, poi il mio appena pubblicato, La Pizza (Hoepli Editore) dedicano per la prima volta un capitolo alla storia dei pizzaioli di Tramonti ancora poco conosciuta in Italia. Si tratta di una storia di povertà e di emigrazione, dell’ingegno di chi fuggì dalla miseria del Dopoguerra per andare al Nord, soprattutto Piemonte e Veneto, di chi aprì caseifici e poi pizzerie per sostenere i fiordilatte invenduti del giorno prima. Era un epoca non tanto lontana, tanto che può essere testimoniata ancora verbalmente, ma per un giovane può apparire addirittura inverosimile: per esempio l’abitudine di servire la pasta cucina espressa totalmente sconosciuta in moltissime zone del Nord, l’arrivo dei latticini intesi come novità assoluta e guardati con diffidenza ancora di più di come oggi noi potremmo guardare il kebab. Una Italia molto più lunga di oggi, con il Nord che subiva le prime ondate di emigrazione massicce.
In questo quadro neorealistico matura la storia dei pizzaioli di Tramonti, arrivati a contare quasi tremila locali nel momento di massima espanzione ma che, secondo un primo censimento ufficiale seguito dall’assessore comunale Enzo Savino, commissario della Corporazione dei Pizzaioli di Tramonti, adesso sono circa mille tra Italia ed Estero. Un numero comunque considerevole, secondo solo a Napoli, molto più di Roma.
La pizza di Tramonti, come tutte le pizze d’Italia ad eccezione di quella napoletana, è figlia dei forni del pane, dunque appare meno scioglievole di quella partenopea ed è stata tipicizzata in tre categorie con la istituzione della Deco, primo e unico caso nel nostro paese: la pizza integrale, che si usava e si usa soprattutto il 2 novembre in occasione della commemorazione dei defunti, la Deco che ha una carta di indentità del prodotto di eccellenza e il pizzino, una pizza cotta in teglia ma senza il fondo.
Naturalmente da popolo anarchico qual siamo, ciascuno alla fine fa di testa sua e non mancano le polemiche contro questo o quell’impasto o sui metodi di cottura.
Nel corso della presentazione del libro La Pizza tenuta alla casa del Gusto con il sindaco Giordano e l’assessore Savino coordinata da Mario Amodio è emersa la ricchezza e la storia che deve ancora essere tutta ricostruita nei dettagli: numerosi sono stati i pizzaioli, ormai settantenni giramondo, che hanno raccontato le loro esperienze.
Tramonti rappresenta un patrimonio inestimabile per la biodiversità, a cominciare dalle uve (tintore, ginestra, pepella, biancazita, piedirosso, San Nicola), per passare alla frutta (pera pennata) e ai legumi. Il motivo è che in realtà si tratta di un’isola attaccata alla terraferma difficilmente raggiungibile prima di 50 anni fa. E ancora oggi ogni pioggia chiude il Valico di Chiunzi, ultimo avamposto della Repubblica Amalfitana. Il turismo non ha ancora sradicato l’anima contadina e pastorale della sua popolazione. Da sempre alle prese con il problema del calo demografico: dagli oltre 6000 abitanti del 1951 ai 4000 attuali anche se negli ultimi vent’anni cè stata una leggerissima inversione di tendenza.
Operano qui alcune delle cantine più interessanti della Campania (Apicella, Reale, San Francesco), molti caseifici e numerose pizzerie. Qui Sal de Riso ha il suo laboratorio dove sforna panettoni e dolci per tutta l’Italia. Qui si è recuperato il pomodoro Fiascone, un ecotipo simile al San Marzano. Insomma c’è un agroalimentare dai piccoli numeri ma dalla eccelsa qualità.
Cosa manca, allora, alla pizza di Tramonti per decollare? Secondo me la risposta è nelle bottiglie che vedete sul tavolo della foto sulla presentazione: acqua corrente così come si usa ovunque in Danimarca e ovunque ci sia la tendenza ai temi dell’ambiente e della sostenibilità. Proprio in questo suo passato prossimo fatto di emigrazione e sofferenza la pizza di Tramonti può trovare la chiave per il suo futuro: essere un pizza caratterizzata dalla biodiversità dei prodotti della propria terra. Pomodoro, olio, latticini, ortaggi e anche salumi: i presupposti ci sono tutti. Per farla in breve, serve fare esattamente il lavoro che Franco Pepe ha fatto con Caiazzo e che andrebbe ripetuto in ogni paesino del Sud: un patto tra i pizzaioli e i propri produttori di prossimità.
Sarebbe profondamente sbagliato infatti definire la propria identità CONTRO la pizza napoletana, anche se la tentazione è forte e, peggio ancora, denigrare il lavoro dei 1500 pizzaioli che stanno solo a Napoli città e gli oltre diecimila sparsi tra Campania e Italia. Non si ha notizia di successo e progresso, nella storia dell’umanità, di qualcosa che si è affermata contro, ma solo di chi ha saputo alzare l’asticella. E cosa può qualificare la pizza di Tramonti rispetto a quella di città se non cercare nel proprio territorio le qualità e metterle sull’impasto steso? Cosa se non qualificare Tramonti come terra della biodiversità, della salute per chi mangia e della sostenibilità ambientale può portare al centro dell’attenzione questa pizza? Naturalmente oltre al motore serve la carrozzeria, soprattutto nei tempi moderni: riammodernare i locali, arricchirli con le proposte di vini e birre artigianali, garantire un servizio di qualità sono un prsupoosto che per esempio a napoli si è fatto in tempi molto rapidi quasi ovunque.
Non c’è altra strada che imboccare il futuro per far si che la magnifica storia dei pizzaioli di Tramonti non resti solo inchiostro sulla carta dei libri, ma realtà tesa e vibrante anche sui social. Tramonti è il passaggio obbligato quando si entra in Costiera per andare ad Amalfi e Ravello, una posizione strategica di enorme vantaggio rispetto ad altri territorirurali che sono lontani dai grandi flussi di traffico vacanziero.
Non resta che crederci sino in fondo. Noi siamo pronti a raccontare anche questa magniica fiaba.
Fonte : PositanoNews.it