Quando la cucina povera era ancora più povera: dalla polenta con le aringhe veneta fino…
Quando la cucina povera era ancora più povera: dalla polenta con le aringhe veneta fino alla pasta con le sarde siciliana, tutti i gioielli della cucina “di magro”.
Dopo gli ultimi fasti del Carnevale, da qualche giorno ci siamo ormai immersi nella Quaresima. Tempo di rinunce e penitenza, secondo i precetti della religione cristiana cattolica, soprattutto il venerdì, giorno di astinenza dal consumo delle carni. Ossia quello che, da sempre, è stato considerato come il cibo lussuoso per eccellenza. Ma il precetto, oggi, deve essere allargato a tutti i cibi grassi e “ricchi” per eccellenza. Difficile pensare di fare penitenza mangiando caviale e aragoste. Lo ha rimarcato la stessa Conferenza episcopale nel 1994, che ha invitato i fedeli a moderarsi nelle spese in beni alimentari, nel fumo e nell’alcol, nelle spese destinate alle feste popolari (e soprattutto a quelle religiose), nel lavoro frenetico che non lascia tempo per riflettere e pregare, nel consumo eccessivo di televisione e altri mezzi di comunicazione che può creare dipendenza e ostacolare o addirittura impedire la riflessione personale e il dialogo in famiglia.
Curiose battaglie
Disposizioni sulle quali, un tempo, non si scherzava. Durante il regno di Carlo Magno la trasgressione era punita con la pena di morte, e spesso la vendita di carne, il venerdì, era addirittura vietata. In tutta la cristianità il periodo di Quaresima ha ispirato la “cucina di magro”, che comprendeva verdure e pesci poveri. Se ne parlava già nel XIII secolo in un curioso poemetto francese, La bataille de Caresme et de Charnage (La battaglia di Quaresima e Carnevale), surreale battaglia sullo scontro tra le armate dei pesci e quelle delle carni. Una singolare parodia, forse del lusso dei “signori”, o forse del codice d’onore cavalleresco dell’epoca. In cui la personificazione della Quaresima cavalca un “mulet” (cefalo, ma anche mulo), contro il Carnevale in sella a un grande cervo selvaggio dalle possenti corna. L’esercito del cavalier Quaresima è formato da naselli, passere, sgombri e anguille, che si scontrano con capponi arrosto, carni di bue e salsicce di maiale. Curiosamente le verdure militano in entrambi gli schieramenti, a seconda di come sono condite: piselli crudi o all’olio da una parte, piselli con il lardo dall’altra. Un bel confronto, immortalato anche nel 1559 dal pittore olandese Pieter Bruegel il Vecchio, nella sua Lotta tra Carnevale e Quaresima. Carnevale è un uomo tarchiato dal grande ventre, siede a cavalcioni di una botte e si reca alla battaglia con uno spiedo sul quale troneggia una testa di maiale. Di fronte a lui la Quaresima, scarna, vestita di un povero saio. Ha in testa un’arnia, che ricorda il miele dei giorni di digiuno, e brandisce una lunga pala che sorregge due aringhe.
Un mercoledì triste (ma non troppo)
Ma, rappresentazioni a parte, quali sono i cibi “di magro” della tradizione gastronomica italiana? Spiccano pane, polenta, zuppe o minestre di ortaggi, tortelli ripieni di erbe, pesce fresco o conservato. Vero “companatico” della povera gente era l’umilissima aringa: arida e secca, ma forte di sapore ed economica. Un usanza particolarmente forte a Motta di Livenza (Treviso): il paese, nel 1499, venne assaltato dai Turchi provenienti dalla penisola balcanica. I quali speravano di avere vita facile, visto che la popolazione era distratta dai bagordi del Carnevale. Tuttavia gli abitanti si accorsero del pericolo e l’attacco venne respinto: ma il giorno dopo, implacabile, arriva il Mercoledì delle ceneri e i festeggiamenti per la vittoria dovettero essere celebrati… a colpi di polenta e aringa. È il “mercore grot” (mercoledì triste), oggi l’occasione per un’imperdibile “sagra dea renga” (sagra dell’aringa). Nel Trevigiano l’aringa essiccata o sotto sale arrivava dal Mare del Nord via Venezia, diffondendosi poi nell’entroterra. Le famiglie più povere l’appendevano con uno spago a una trave della cucina accontentarsi di insaporirvi, a turno, una fetta di polenta strofinandola ripetutamente sul pesce. La “polenta e renga” veneta si prepara dissalando le aringhe, mettendola sulla brace e quindi togliendo la testa e le lische. Si pongono i filetti su un piatto, e si ricopre con olio, aglio e alloro: le aringhe, in questo modo, si possono conservare per diverse settimane, nonché utilizzare per condire la polenta. In alternativa le aringhe si possono anche bollire per un minuto e ripassare in padella, prima di essere messe sottolio. Non solo: la povera “renga” è ottima anche coi bigoli, talmente tanto che potrebbe apparire “peccaminosa”…
Il baccalà alla cappuccina
Rimanendo nel Nord-Est, altro piatto-simbolo della Quaresima è il celebre bacalà alla vicentina (in realtà a base di stoccafisso). Mentre, in Friuli, a dominare è il baccalà alla cappuccina, questo sì a base di baccalà. Che, una volta ammollato, viene tagliato in pezzi, infarinato e deposto in una teglia. Dove verrà condito con un soffritto di cipolla e poi alloro, sardelle, pinoli, uva passa, scorza di limone, sale e pepe, oltre – a volte – a zucchero e cannella. E soprattutto al nient’affatto peccaminoso cacao amaro grattugiato: uno dei pochi casi in cui, nella nostra cucina, questo ingrediente viene utilizzato in piatti salati. Il baccalà, in questo modo, viene fatto cuocere a fuoco lento, con la saltuaria aggiunta di brodo vegetale e vino; si cosparge infine di pangrattato e si passa al forno fino a formare una leggera crosta dorata. Solitamente si serve, anche lui, in abbinamento con la polenta.
Il cappon magro
Tipico della Liguria è invece il cappon magro, ricetta complessa e tutt’altro che povera: partendo da una base di pane abbrustolito (o meglio, le tradizionali gallette del marinaio) aromatizzato all’olio e aceto, si sovrappongono strati di verdure e pesci di vario tipo (branzino, orata, nasello, ombrina, pesce cappone, dentice, pagello, cappone, scorfano, gallinella…), intervallati da strati di salsa verde preparata con capperi, pinoli, acciughe, aglio, uova, prezzemolo, mollica, olive verdi e olio extravergine d’oliva. Fra le ricette quaresimali liguri rientrano inoltre il baccalà con le patate e lo stoccafisso in zimino, cotto con le bietole. In tutta Italia il ricorso allo stoccafisso e al baccalà, durante la Quaresima, diventa più frequente. In Piemonte, invece, il tipico piatto quaresimale è costituito dalle lasagne gran magro, in cui al posto del ragù compare una salsa rustica a base di burro, olio, acciughe, parmigiano e pepe.
Dolci morigerati
Una ricetta “di magro” tipica fiorentina è costituita dal pane di ramerino, dolce preparato con farina, olio, rosmarino, uva passa e zibibbo. Mentre a Roma a dominare è il maritozzo. Tra i dolci, sia in Liguria che in Toscana sono poi diffusi i quaresimali. Quelli liguri, in particolare, sembra siano stati inventati in un convento di Genova da un gruppo di suore che voleva incoraggiare il rispetto dell’astinenza dai grassi. Si preparano infatti con pasta di mandorle, zucchero, acqua di fiori d’arancio, albume d’uovo, farina, semi di finocchio, confezionati a forma di piccole ciambelle e guarniti con zucchero al gusto di maraschino, pistacchio, limone o caffè. I quaresimali toscani sono invece più semplici, biscotti all’uovo con zucchero e cacao in polvere a forma di lettere dell’alfabeto.
Eredi del garum
A Napoli, tra i piatti della Quaresima troviamo la frittata di scammaro, ossia un condimento a base di capperi, pinoli, acciughe e olive nere, utilizzato anche per condire la pasta. Ma altrettanto diffusa nel Centro-Sud è la pasta con la colatura di alici, così somigliante – assieme ad alcune salse liguri e alla sardella calabrese – a quel garum di cui erano ghiotti i Romani. Il passo che la separa dalla pasta con le sarde siciliana, in fin dei conti, è assai breve.
Fonte La cucina italiana
Fonte : PositanoNews.it