Massì, tortano, casatiello, casatiello doce, pizza chiena e pastiere. È Pasqua, signori, la tavola si riempie di questi pani conditi che fanno ricca e golosa la più importante festa di primavera.
Quella che celebra sì la Risurrezione di Gesù, ma ricorda pure i riti arcaici di rinascita, di ripresa della vita dopo la pausa letargica dell’inverno. E di questi pani c’è traccia addirittura a partire dal 1500 nelle opere poetiche di Giulio Cesare Cortese, Giambattista Basile e Giambattista Del Tufo, oppure nei trattati di cucina rinascimentali o, ancora, nei dipinti naturalistici di fine Settecento.
Fate visita a Palazzo Reale e troverete sulle pareti dell’appartamento nobile i quadri di Giacomo Nani. Le pizze chiene sembrano appena sfornate. E i maccheroni incaciati tracimano dai piatti.
Insomma, quella che oggi potrebbe apparire una ripetitiva usanza gastronomica, legata magari a semplici convenzioni familiari, ha invece profonde radici. C’è dietro la grande tradizione che giunge da lontano e che, ad esempio, segna differenze di non poco conto tra tortano e casatiello.
Se andiamo a leggere quello che scrive Raffaele D’Ambra nel suo Vocabolario Napolitano-Toscano del 1873 apprendiamo che casatiello è un pane condito con sugna e un tantino di pepe, avvolto in forma di grossa ciambella, con uova intere, mezzo incavate nell’impasto e ricoperte in cima da fettucce sistemate a croce.
Il tortano, invece, per dirla con Antonio Altamura, ha la nzogna, cioè la sugna, e cicule, cioè i cicoli, e la sua forma a ciambella nasce da più cordoni di pasta attorcigliati tra di loro.
Sarà Jeanne Caròla Francesconi a tramandare anche la ricetta di un tortano imbottito in cui ci sono provolone, provola affumicata e salame. Accanto a queste versioni rustiche i casatielli dolci hanno pure loro una storia non certo recente. Sempre il D’Ambra ci descrive un casatiello di zuccaro fatto con pasta di mandorle, tuorli d’uova, canditi e aromi vari. Mentre la tradizione popolare contadina conosce un’altra tipologia di casatiello doce.
È chiamato palomma in alcune zone della Campania interna come il casertano, ed è il risultato di una lievitazione che dura, con quotidiane pause e riprese, a partire dal lunedì fino al sabato santo, giorno in cui viene infornato. Viene poi ricoperto di glassa e abbellito con i confettini aromatizzati all’anice, i diavolilli. C’è pure un casatiello di farenella, cioè di farina di mais. È condito con uva passa, pinoli e briciole di cacio e provature.
Nel tempo di carnevale è conosciuto come migliaccio. Ma a Pasqua è la pizza chiena che può essere considerata la regina della tavola. La ricetta popolare è molto semplice, ma ricca di ingredienti. Si riveste un ruoto di pasta di pane condita con sugna.
Si versano le uova intere battute unite a formaggio parmigiano e pecorino grattugiato, salame e provolone. Vincenzo Corrado, il famoso cuoco del 1700, vi aggiungeva salsiccia cruda, cervelatine cotte e cannella. Si ricopre della stessa pasta e si inforna. Un’altra ricetta ce la tramanda ancora una volta la Caròla Francesconi.
Aggiunge al ripieno la ricotta, mentre la pasta è una mezza frolla dolce oppure una sfoglia. Insomma c’è da divertirsi in cucina in queste ore. E se vi va potete pure provare la pastiera rustica.
La ricetta è la stessa di quella che conosciamo dolce con il grano, aromatizzata d’arancia e millefiori, ma, secondo il Corrado, e anche il Duca di Buonvicino don Ippolito Cavalcanti, che ha scritto il suo ricettario in dialetto napoletano, bisogna aggiungere soppressata e caciocavallo. Provare per credere. Tommaso Esposito, Il Mattino
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