Sulle tavole pasquali della Penisola, nella lista dei dolci, non c’è posto solo per colombe…
Sulle tavole pasquali della Penisola, nella lista dei dolci, non c’è posto solo per colombe e uova di cioccolato, simboli di pace e fertilità, la cui produzione è diffusa ovunque. C’è spazio anche per tante altre tipicità, alcune antiche, studiate e raccontate, tra gli altri, dall’Accademia italiana di gastronomia e gastrosofia, ricche di ingredienti e di simboli di rinascita che rievocano la festività e l’arrivo della primavera. Ne ricorderemo alcune in un viaggio ideale che parte da Sud. In Puglia, ad esempio, il dolce forse più famoso del periodo è la scarcella o corrucolo. Ce ne sono di vari tipi. Ripiene di marmellata o ricoperte di glassa, a forma di colomba, campana o corona intrecciata. Tutte multicolori, decorate con codette e zuccherini, e uova di cioccolato o fresche. La Puglia vanta anche un dolce a forma di agnello, simbolo del Cristo risorto, con pasta di mandorle e ripieno di crema, canditi e marmellata, risalente al 1680. Lo creò la badessa del monastero benedettino di Lecce, dove è venduto tuttora dalle suore di clausura. L’agnello si ritrova anche altrove, per esempio in Sicilia, fatto di pasta reale di mandorle farcita con marmellata di cedro. Nell’isola nasce come dolce pasquale anche la famosa cassata. Di origini greche, era offerta in segno di buon augurio già agli dei pagani. Al ripieno di ricotta, la cucina araba aggiunse zucchero e cannella, ingredienti principali della odierna versione ragusana. In genere, si preparano il Venerdì Santo, quando, secondo la leggenda, i palermitani le acquistavano dal monastero di Santa Oliva. Si narra che la domanda fosse così alta che finiva spesso per far slittare le funzioni religiose. Finché il vescovo non impose alle suore un tetto alla produzione (da cui il detto: «Cu nnappi nnappi », ossia «Chi ha avuto, ha avuto»). In Calabria, a Pasqua sono tipiche le nepitelle, ravioli di pasta (farina, uova, zucchero, burro lievito e latte). Anch’esse di origine greca, prendono il nome dal latino nepitedum (palpebre), per la forma che ricorda un occhio chiuso. Famosa in tutto il mondo la pastiera napoletana, presente da quando i primi cristiani confezionavano focacce da scambiare per la festa. Si dice sia nata dalle mani della sirena Partenope, abile nell’amalgamare in essa i migliori frutti della terra vesuviana. I suoi ingredienti, infatti, sono grano, uova e ricotta ovina, simboli rispettivamente di ricchezza, vita e abbondanza del gregge. Anche questa ricetta è stata canonizzata e custodita in un convento, nel ‘700, dalle suore di San Gregorio Armeno. La Sardegna si difende bene con la sebadas o seadas, anch’essa offerta ormai in ogni stagione ma un tempo confezionata soprattutto a Pasqua. La pasta, di semola, impastata con strutto e scorza di limone grattugiata, è preparata con formaggio fresco di pecora o vaccino. Le preparazioni dolci sono insaporite, dopo la frittura, in genere con miele locale. Resiste solo a Cori, ma in passato era tradizione diffusa sui Monti Lepini, in provincia di Latina, la tradizione della ciambella pasquale che, per i più piccoli, si faceva a forma di cavalluccio o bambola da consumare a Pasquetta. Non si è offuscata, però, l’abitudine di fare ciambelloni e biscotti per festeggiare la resurrezione, con l’impasto con cui si preparavano anche cavallucci e bambole (farina, uova, zucchero, olio extravergine, semi di anice e lievito), lucidato con un uovo battuto, mentre un altro uovo, intero, si incastona all’interno. Altre tipicità pasquali sono il fiadone, una cialda dolce ripiena, composta da sfoglie farcite, di diverse forme e versioni, diffusa in Abruzzo e Molise, e la ciaramicola, ciambella variopinta (impasto rosso, glassa bianca e confetti multicolori che la guarniscono), gustata in Umbria e in passato donata dalle ragazze in età da marito ai propri innamorati. In Lombardia, c’è la spongada, un pane dolce a lunga lavorazione (due impasti e tre lievitazioni). Prende il nome dalla sponga (spugna), della quale richiama la consistenza lo zucchero che ne ricopre alcune versioni. Nella preparazione prevede precisi gesti liturgici che rimandano ai riti pasquali, come l’incisione a croce e le tante uova usate. Altra delizia locale, la fugassa veneta. La ricetta è simile a quella della colomba pasquale. Differisce però per la forma a panettone. In origine preparata dalle famiglie meno agiate, è un impasto di farina, zucchero, uova, burro, lievito e aromi. Ma ogni zona del Veneto prevede varianti che la rendono unica. (Giuseppe Daponte – Corriere del Mezzogiorno)
Fonte : PositanoNews.it