Ziti alla Genovese.. ricetta e curiosità . Fra i tanti che ne parlano, Luciano Pignataro…
Ziti alla Genovese.. ricetta e curiosità . Fra i tanti che ne parlano, Luciano Pignataro sembra il più interessante…Già, ma cosa è la Genovese? Anzitutto a Napoli quando si dice Genovese si intende tout court pasta con la salsa alla Genovese. E’ il piatto che chiedo a mia moglie Annarita di cucinare quando abbiamo ospiti non campani per far provare loro qualcosa di profondamente nostro: in sintesi è una salsa ottenuta dalla cottura lentissima di cipolle e carne, cottura che finisce solo quando la riduzione determina un colore marroncino denso e sostanzialmente compatto.
In questo post vi presentiamo la ricetta base, alcuni usano sfumare con il vino, oppure aggiungono un poco di pomodoro. In alternativa all’olio si può usare la sugna, oppure si fa sfriggere un po’ di vuccularo o pancetta prima di aggiungere la cipolla. Insomma, l’importante è essersi capiti sull’essenziale, poi ognuno ci mette il suo.
Il sugo detto “Genovese”
Un pastificio di Gragnano un paio d’anni fa ha lanciato sul mercato una serie di sughi pronti che costituiscono i Propilei del Partenone gastronomico napoletano: c’è ovviamente il mitico Ragù, poi Pasta e piselli, Pasta e patate e, ancora, la Genovese. Riflettevo come questa ricetta, pur essendo di gran lunga più popolare in città e in parte della Campania, è ancora assolutamente sconosciuta fuori dalla regione.
Del resto gli abbinamenti di pasta ai legumi che non siano i fagioli (fave, lenticchie, piselli) o alle stesse patate sono tipici di Napoli e di parte del Mezzogiorno. La risposta è che solo l’industria e il commercio sono in grado di fare conoscere un prodotto, e una ricetta, fuori dai luoghi di appartenenza in cui si è formata nel corso dei decenni, a volte dei secoli. Così la grande industria alimentare del Nord si è impossessata di alcuni sughi locali, pensiamo alla ormai nazionalpopolare bolognese e li ha trasformati in un marchio di fabbrica italiano. Nulla del genere era stato fatto sinora con le principali salse partenopee che richiedono lunghe e laboriose cotture sicché erano quasi sempre piatti della domenica.
Naturalmente, come in tutto ciò che riguarda l’agroalimentare, l’industria può solo parzialmente riprodurre la fattura delle case e dei ristoranti perché uno dei suoi presupposti, che fa da contraltare al fascino della irregolarità artigianale, è proprio garantire un prodotto standard. Insomma, se sto solo a casa e devo andare al lavoro, mi faccio un po’ di pasta e ci metto metà di questo vasetto con un po’ di formaggio e sto a posto: avrò un piatto decisamente superiore a tutto quello viene sfornato dalla ristorazione in franchaising delle stazioni, degli aeroporti e delle fermate autostradali. E, diciamola tutta, anche del piatto che mi darebbero alcune trattorie di città dove, per parafrasare Edoardo sul ragù, nel piatto non mettono la Genovese.
Il sapore
Come la mozzarella di bufala e la cioccolata, la Genovese è un piatto di sicuro successo perché incontra grazie alla sua dolcezza di fondo praticamente tutti i palati: sia quelli dei ragazzi che quelli degli adulti, degli uomini come delle donne, dei gourmet come di coloro che amano la tradizione. Anche chi non ama la cipolla ne mangia a volontà. Sinora non ho mai conosciuto una persona che non l’ha gradita. Chi ha provato la famosa cipolla nella cipolla di Salvatore Tassa delle Colline Ciociare può averne una idea.
La diffusione
La Pasta alla Genovese si mangia in tutta Napoli, trattorie e ristoranti di tradizione la tengono pronta per il pranzo anche se le paste usate variano dai paccheri ai rigatoni, dai mezzanelli alle penne e ai pennoni.
Gli ingredienti
La cipolla
Cipolla ramata di Montoro
La cipolla, più della carne e di ogni altra cosa, è l’arma vincente della pasta alla genovese. Non va assolutamente usata quella bianca o, peggio, quella fresca. In Italia si trova ovunque quella conosciuta come di Tropea, che è la più adatta perché più matura e forte per aggredire la carne. Ancora superiore è la Cipolla Ramata di Montoro in provincia di Avellino, diffusa in tutta la Campania perché ha dalla sua una maggiore fragranza e un po’ meno forza. In una parola: si può mangiare con il pane alla moda contadina mentre quella di Tropea è un po’ eccessiva da sola.
Ed ecco il video di un ristorate che la ripropone ogni giorno: la casa di Ninetta
La carne
Napoli non ha tradizione di carne (e di latte), troppo poca in giro e difficile da trovare ai tempi della fame. Proprio dalle parti considerate meno nobili dell’animale, quelle di risulta, nascono dunque le ricette più saporite come il Ragù e la Genovese. Il pezzo più usato è il lacierto (girello in italiano), seguito dalla colarda (scamone a Milano), al terzo posto il muscolo dello stinco (gammuncello). I ricchi usavano il primo taglio di annecchia (vitello), una carne a cui è affezionato Gennaro Esposito della Torre del Saracino. C’è chi usa altre carni come quella di maiale o di agnello. Nel primo caso ritengo sia troppo dolce mentre quella di vitello con il suo amarognolo va meglio in contrasto con la cipolla, per quanto riguarda l’agnello è un sapore buono ma forte, anch’esso tendenzialmente dolce, certo non proponibile in una tavolata familiare.
La pasta
Ziti alla genovese di tonno (FotoPigna)
Qui la scuola di pensiero è unica: ziti, ossia i maccheroni che si usavano nei matrimoni (zita vuol dire sposa), spezzati a mano. Essenziale che i pezzettini di pasta che restano durante questa operazione finiscano in pentola perché contribuiscono ad amalgamare ulteriormente il piatto: i più golosi se lo riservano come ultimo boccone. Oggi ci sono molte paste industriali in grado di far fronte a questa ricetta, personalmente al numero uno come pasta semiartigianale metto Vicidomini di Castel San Giorgio, Gentile, Di Martino e Faella di Gragnano. La pasta grossa è consigliabile, bene anche i paccheri (che però hanno ormai rotto le palle come il tonno), i rigatoni, i mezzanelli, le penne. In ogni caso, ricordate, sempre pasta da forchetta e non da cucchiaio che a Napoli non è psicologicamente apprezzato perché posata “da cafoni”, in quanto nelle campagne si mangiavano le zuppe e non la pasta. Si dice che pasta e fagioli, o patate, o piselli, sono buone davvero se la forchetta resta dritta nel piatto. La pasta lunga come sfizio ma non come regola (bucatini, tagliatelle larghe), in ogni caso non la pasta fresca perchè l’eccesso di amido rovina l’equilibrio di una salsa così laboriosa ed equilibrata.
Vedi anche: Le candele spezzate a mano di Vicidomini: ecco la Genovese
Il nome
Ora veniamo alla cosa più curiosa di tutte. Perché Pasta alla Genovese? Secondo Jeanne Caròla Francesconi , il Liber de coquina cita i De Tria Ianuensis (ossia la Tria Genovese), il Cavalcanti duca di Bonvicino riporta una ricetta simile. In realtà non ci sono notizie sicure e il cronista può divertirsi a inventarle tutte: quel che è certo è che Genovese (e Genovesi) è un nome, oltre che un toponimo, ben diffuso in tutto il Regno da molti secoli. C’è, appunto chi antropologicamente parla di ristoratori genovesi che al porto cuocevano la carne con la cipolla a cui i napoletani avrebbero poi aggiunto la pasta. Ma di questa preparazione non c’è traccia seria o comunque diffusa in Liguria.
Un’altra scuola di pensiero, più romantica, racconta di un monzù di Ginevra (Geneve, dunque Genovese) che introdusse questa variante della soupe d’oignons a Corte o in qualche cucina aristocratica. Forse la verità è molto più banale, ma non la sapremo mai: a Napoli ad esempio è molto diffusa una doppia sfoglia di pane con prosciutto cotto, formaggio e pomodoro al centro che si chiama Parigina. Stessa cosa con la Veneziana in pasticceria. O a Madrid trovi la Napolitanas. Chi può dire perché? Forse c’era una musicalità nascosta nella testa di chi l’ha chiamata così, il formaggio e il prosciutto cotto avranno evocato in qualche modo la raffinatezza francese. Niente di più strano che sia successo così anche con la Genovese. Oppure, ancora, il segreto va cercato nel misterioso e affascinante mondo degli scagnanomi, magari un oste chiamato ‘O Genovese perché tirchio!
L’abbinamento
Non c’è una tradizione di abbinamento alla Genovese. Personalmente consiglio la Coda di Volpe sannita (Fattoria La Rivolta, Ocone, Cantina del Taburno) o il Pallagrello Bianco.
Perfetto il Sèrole di Terre del Principe.
C’è bisogno di un bianco fresco terragno, e strutturato, in grado di ripulire il palato per bene.
Ancora una variante, il tonno
Ziti alla genovese di tonno
A Cetara il ristorante Al Convento ha lanciato da qualche anno la variante con il tonno e vi assicuro che è molto buona. Direi che è una Genovese life style perché più leggera. Ripresa da Franco Tammaro del San Pietro, la Genovese di Tonno ha iniziato a diffondersi fra i ristoranti della Costa. Come dire, si mangia con meno senso di colpa!
Il metodo ancestrale
Selosse non c’entra. La Genovese è un piatto della famiglia unita, forse quella che non esiste più ma che rassicurava tutti. Il suo arrivo a tavola in una sola zuppiera dove tutti possono attingere è davvero un rituale magico che ogni napoletano si porta nella vita dai primi pranzi in cui, bambino, era ammesso a tavola, sino all’ultimo possibile. Va dunque consumata sempre con le persone giuste.
Fonte : PositanoNews.it