A Piano di Sorrento “Io, Lauro e le Rose” di Artiaco. Una storia sull’omosessualità che tocca da vicino la Penisola Sorrentina. Sono il figlio di una generazione in cui i genitori non parlavano di nulla, tanto meno di omosessualità, l’ignoranza resta il cancro selvaggio e spietato della nostra società. E’ questo l’incipit di una bella intervista che riportiamo di Ginevra Campaini su questo libro che verrà presentato a Piano di Sorrento il 26 gennaio ed è molto vicino alla Penisola Sorrentina, tanto è vero che tocca nervi scoperti, ma la libertà di scrivere, di raccontare, di comunicare è un diritto costituzionale che va garantito.
Tra i sogni e le avventure di tre ragazzetti in un paesino del napoletano, si snoda una storia tragica quanto incredibile. Niente è come sembra, come te lo aspetti, come pensi di aver capito che sia. Una sorpresa continua, il respiro che incalza, gli occhi che vanno oltre le parole che hai ancora da leggere. Mario Artiaco, autore di “Io, Lauro e le rose”, ci ha reso partecipi della vita del “gigante buono”, il protagonista di una storia struggente, una storia che diventa uno strumento di riflessione, di incontro, di Amore.
I tre amici, uno dei quali è l’autore del libro, ci fanno vivere un’esperienza indimenticabile. Un’amicizia forte e spensierata, che segue il cammino della crescita, le cose cambiano e la vita nasconde le sue difficoltà. Una storia di violenza e amore che fa a pugni con la vita e la morte. Durante la lettura ho sentito dentro me la vita che cresceva, poi frenava, si fermava, ripartiva e si fermava ancora. Ma niente è perduto se il nostro amore rimane negli altri, se viviamo nei cuori delle persone, se siamo riusciti a dare solo del bene a chi ci sta intorno, come il protagonista di questa storia riesce incredibilmente e sorprendentemente a fare.
L’omosessualità, l’amicizia, la povertà, la meschinità, l’abuso, la famiglia, il silenzio, vita e morte fanno da padroni in questo racconto, e vogliamo condividere con voi l’intervista che abbiamo fatto a Mario Artiaco, sperando che anche voi abbiate voglia di leggere il suo libro.
La prima domanda che mi viene in mente è perché hai deciso di raccontare questa storia, cosa vorresti arrivasse ai lettori?
L’urgenza e la necessità di catarsi. È stato un onore raccogliere e raccontare la vita del gigante buono ma è stato a tratti anche un onere, un cammino doloroso. Sia per quello che veniva fuori, sia per quello cui andavamo incontro. E poi gli avevo fatto una promessa, la promessa che questa storia non sarebbe terminata con la conclusione del suo passaggio terreno.
Sono molteplici i messaggi che avrei presunzione di trasmettere, su tutti, di certo, il desiderio di sconfiggere l’ignoranza. Sono il figlio di una generazione in cui i genitori non parlavano di nulla, tanto meno di omosessualità, l’ignoranza resta il cancro selvaggio e spietato della nostra società. Raffaele mi ha aperto gli occhi e arricchito incredibilmente, mi ha iniziato a mostrare la Bellezza composta, e non potrebbe essere altrimenti, dagli infiniti colori dell’arcobaleno.
Il modo in cui racconti è veramente struggente. Si tratta di una storia vera (se si, quanto)?
Il racconto è totalmente autobiografico. Prendemmo la barca a remi per tentare di raggiungere “L’uomo dei due sogni”, io e Lauro eravamo due decerebrati, Raffaele, invece, era intento a cercare di fuggire.. Anche tutto il resto, purtroppo, non è frutto di fantasia.
Perché la scelta di sviluppare il racconto attraverso ricordi che si intrecciano? Anche questo è reale?
Anche qui è tutto reale, testimonianza di come è andata. Da Pasqua del 2012 ho iniziato a prendere appunti, talvolta raccontavo io, altre volte Raffaele, e andavamo dove il cuore ci portava. Inizialmente all’adolescenza, successivamente ai giorni del dolore. Di solito la faceva da padrone, soprattutto nella seconda parte del romanzo, l’umore del gigante buono e così i vari tasselli sono andati al proprio posto con l’alternanza che si ritrova nello scritto.
Nel libro vengono affrontate diverse tematiche. Partiamo dall’accettazione dell’omosessualità. Il piccolo paese di Raffaele e dei suoi amici mostrava diverse difficoltà. Ancora oggi in Italia si fa tanta fatica a non vergognarsi di fronte ad una persona omosessuale, ma cosa è cambiato da quando i ragazzi erano giovani e cosa c’è ancora da fare per non sentire il bisogno di nascondersi?
Intanto è proprio il termine “accettazione” che andrebbe bandito ma purtroppo c’è chi ancora pensa, ostentando supponenza e superbia oltre ogni modo, che essere etero significhi essere migliori e quindi molti sentono ancora di dovere accettare, come ne fossero costretti tra l’altro.
Non c’è un bel nulla da accettare c’è solo da condividere e convivere e godere così delle diversità e degli infiniti colori dell’arcobaleno.
In taluni luoghi, come nei piccoli centri, e ancor di più al sud, il mio romanzo si svolge completamente in un paesino del sud, purtroppo sembra il tempo sia fermo. Bisogna andare nelle scuole, rendere l’opportunità ai nostri bambini di crescere conoscendo la cultura dell’Amore, a 360°. Bisogna parlare con i nostri figli e nipoti e passare un messaggio corretto di libertà nel rispetto reciproco e non discriminatorio e omofobo.
Anche le amicizie possono attraversare momenti difficili percependo l’omosessualità come un ostacolo. Perché e come mai Diego reagisce in maniera diversa da Lauro?
Il motivo per cui Lauro reagisce allontanandosi al disvelarsi dell’omosessualità di Raffaele è uno degli elementi sospesi in corso di lettura e ripreso al termine e che quindi scelgo di non svelare in queste righe. Per quanto riguarda Diego la reazione è differente e chiara. Diego è il figlio di una generazione in cui i genitori non parlano di nulla, tanto meno di omosessualità e questo crea un disagio enorme nel coprotagonista quando, ignorante in materia e incolpevole, irreparabilmente si allontana dal gigante buono.
Questa storia affronta anche il rifiuto di una “madre”. Un fastidio che si protrae fino all’ultimo. Che “madre” era? Ancora oggi sentiamo storie di genitori che non accettano i figli omosessuali. Quali strumenti potremmo usare per aprire un dialogo tra figli e genitori?
Intanto non la definirei una madre. La madre è colei che ti aspetta, ti coccola, ti sostiene, ti ama, ti protegge. Questo essere vivente di sesso femminile che non appello nemmeno con il nome di donna, le donne sono esseri straordinari, è stato per me il personaggio più indigeribile di questa storia, finanche oltre altre figure inquietanti. È lei il pretesto, la causa, l’origine…
Tantissime associazioni, su tutte GeCO e Agedo, sono impegnate socialmente sul territorio e nelle relazioni familiari. Molti genitori di queste associazioni, prima di promulgare un messaggio e portarlo ai cuori di altri genitori e altre persone in genere, sono stati anch’essi colti alla sprovvista, forse non tutti ma una buona parte sì. Pur non discriminando mai niente e nessuno, alcuni genitori, hanno dovuto ridisegnare e ricalcolare una vita non secondo i progetti che avevano ma secondo la natura sessuale dei proprio figli, della quale ripeto non vi è nulla da accettare, e della loro felicità.
Ma allora perché questo desiderio irremovibile di vederla fino alla fine da parte di Raffaele?
Raffaele, per una vita intera, ha avuto soltanto parole d’Amore, comprensione, di perdono, misericordia per chiunque avesse incontrato, anche i suoi aguzzini, coloro che lo avevano sfruttato e umiliato. Tra questi c’è sicuramente la sua madre biologica, colei che lo ha messo al mondo. Il gigante buono è intento, in una lotta contro il tempo, a cercare di concludere il suo cammino terreno senza rimorsi e rimpianti. Fa la sua parte, perdona, confessa, raggiunge il perdono. Tutto quanto ciò che dipende da lui ha un suo compimento, ciò che dipende da altri in taluni casi resterà incompiuto.
Un altro tema terribilmente importante è la figura del “benefattore” pedofilo e laico, una figura ancora oggi presente. Ma chi sono questi “uomini” e perché i ragazzi come Raffaele non riescono a liberarsene?
Ancora una ulteriore testimonianza della dilagante umanità del gigante buono: durante infatti uno degli ultimi dialoghi mi lascia sconcertato quando asserisce, riferendosi appunto a don Peppino, «chissà cosa dovevano avergli fatto affinché si comportasse così!» Mai odio, mai un pensiero cattivo se non quella notte che segna la sua risurrezione…
Questo romanzo avrebbe, tra i suoi messaggi, anche la presunzione di provare a salvare i bambini, se anche un solo bambino/ragazzo, ascoltata questa storia, potesse venir fuori e trovasse il coraggio di parlare e liberarsi! Purtroppo, talvolta, si innescano delle dipendenze psicologiche che si auto alimentano tra vittima e carnefice e, può sembrare difficile da comprendere, la vittima arriva anche al punto di negare l’evidenza e difendere l’orco.
Ci resta il dialogo e la possibilità di offrire un luogo accogliente e amorevole e di parlare con i nostri bambini, di invitarli a comunicarci sempre tutto, anche le cose peggiori.
Perché anche chi sapeva o immaginava cosa stesse subendo Raffaele non ha parlato? La povertà può essere una giustificazione?
Fino in fondo, voglio continuare a sperare, nessuno sapesse cosa accadeva. Il dramma di quel personaggio è che davvero era osannato come colui che raccoglieva gli indigenti, gli ultimi e offriva loro una opportunità.
La povertà è di certo un fattore determinante ma lo è anche l’essere meschini, ottusi, tracotanti. Tutti mali figli dell’ignoranza. Una delle missioni di questo romanzo è provare a insinuare il dubbio, aprire le menti e donare una possibilità di arricchirsi, ovviamente a chi è in grado di coglierla.
La religione è molto presente nella vita dei personaggi e nei loro luoghi. Nonostante un “benefattore” che si maschera dietro una laicità malata, nemmeno Raffaele si allontana dalla fede che rimane forte fino agli ultimi momenti. Omosessualità, religione e falsa devozione. Che relazione c’è tra tutto questo?
C’è un benefattore che tale non è e che, sebbene intercetta le sue vittime attraverso l’oratorio di un noto santuario e sebbene citi a tratti passi del Vangelo, non lascia mai trasparire una sua religiosità e devozione a nessuna divinità. Raffaele è credente e a quella speranza si aggrappa lungo il calvario, mentre risale il Golgota e percorre le ultime stazioni della via Crucis. La sua vita è si costellata di incontri sbagliati ma anche di uomini e donne rappresentanti del clero, e non solo, che riescono a fargli ottenere una seconda possibilità e fanno in maniera tale che il gigante buono non debba subire anche la mortificazione e il dramma della detenzione.
Si è vero, ci sono delle figure molto umane e amorevoli che riescono ad evitargli una “seconda detenzione”, come giustamente sottolinei. Adesso, parliamo di quali reazioni hai ricevuto da chi lo ha letto. C’è qualcosa di particolare che ti è stato detto?
Lo sgomento durante e al termine del libro è qualcosa che ha accomunato tutti i lettori. Però anche l’Amore che lega indissolubilmente i tre, compagni di gioco da bambini e fino all’ultimo respiro, è una sensazione che resta forte. Qualcuno ha iniziato a riflettere, farsi domande, interrogarsi. È un libro di denuncia, forte, duro, spietato. A tratti fa anche ridere alle lacrime.. ma il passo è breve e, quando le lacrime iniziano a venir fuori per il dolore, è tardi, non si torna più indietro. Non è un testo per tutti ma di tutti coloro che hanno letto e ho conosciuto nessuno mi ha detto che non avrebbe voluto conoscere questa storia e il meraviglioso gigante buono.
Buona lettura: lasciatevi travolgere dall’Amore.
Ginevra Campaini
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