Giovedì 30 Agosto alle 20.30 alle AXIDIE a Seiano si terrà la presentazione del libro…
Giovedì 30 Agosto alle 20.30 alle AXIDIE a Seiano si terrà la presentazione del libro di Antonello Caporale “Matteo Salvini il Ministro della Paura”. Moderatore Vincenzo Califano, con l’autore saranno ospiti il prof. Salvatore Ferraro e l’On. Cantalamessa. Cercheremo di capirci qualcosa di più su questo personaggio-Ministro dell’Interno.
Invasione. Schifo. Felpa. Sovranità. Terrorismo. Ruspa. Pulizia. Schiavismo. Da qualunque parola si parta si arriva sempre a lui: a Matteo Salvini, il neo ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio del governo Conte. Il politico più social, che ha saputo ripulire l’immagine di un partito consumato dagli scandali, la Lega, e capovolgere il suo mondo senza farsene accorgere. All’inizio se la prendeva con i napoletani, poi con i Rom e infine con gli immigrati: ora “vengono prima gli italiani”, non i padani. Prima il problema del Paese era la Calabria e il sud nullafacente ora sono da un lato gli spacciatori dall’altro i burocrati di Bruxelles. Come racconta Caporale, Salvini ha cambiato la forma ma non la sostanza: il filo della narrazione vincente è sempre la paura. La paura dell’altro, di chi ci invade, di chi attenta alla nostra sicurezza, di chi ci spoglia dei nostri averi o della nostra fede e infine della nostra stessa identità. Prefazione di Tomaso Montanari.
Schifo, parola d’ ordine Quale parola ha più senso comune di questa? Qual è il termine che meglio ci unisce quando si tratta di esprimere uno sdegno enorme e istantaneo? È proprio la realtà che fa schifo – per come sembra a noi, per ciò che è e non sarebbe dovuto essere – ad aver permesso a Matteo Salvini di entrare in casa nostra attraverso l’ imprecazione più frequente tratta dal grande dizionario quotidiano degli epiteti.
SALVINI E ZINGARETTI NELLA VILLA SEQUESTRATA AI CASAMONICA 3
Quella parola ha avvicinato Salvini a noi. Ce lo ha fatto sentire vicino a noi: anzi lui come noi. Salvini è divenuto il potabilizzatore della nostra coscienza sporca, il depuratore dei sentimenti cattivi, legittimando la pratica dell’ accusa estrema, liberandoci dal dubbio che essa non lo sia mai troppo, spiegandoci invece che il giusto è proprio l’ inconfessabile, quel che potrebbe ingiustamente farci apparire egoisti, troppo egoisti, e indicati persino come razzisti.
Salvini ci slega dalla necessità di contenerci nell’ uso della parola, di riflettere prima di giudicare, e ci spinge invece oltre l’ ostacolo, ci insegna a essere “audaci, istintivi, fuori controllo”, che è poi la linea editoriale e il sottotitolo del suo giornale online ilpopulista.
Schifo è l’ epiteto che prediligiamo perché rovina su un fatto distruggendo le sue fondamenta con la forza di un bulldozer (di una ruspa italianizzerà poi lui).
Schifo, o anche “che schifo!” è la locuzione con cui il leader della Lega ha aperto il suo diario quotidiano con gli italiani attraverso una messaggistica iniziata con i volantinaggi ai mercati milanesi, luoghi che ha frequentato giovanissimo – già prima di conseguire il primo esame all’ università – ed è proseguita col computer o lo smartphone sempre a portata di dita e in modo così tanto intenso e appassionato da non vedere mai il traguardo dell’ ultimo esame universitario.
Chissà se Salvini sa che lo schifo, dal longobardo Skif, (Treccani) designa anche una piccola imbarcazione, o ancora, che grazie all’ attributo concavo, dal greco skàphe, ha la radice in comune con scabbia. Non glielo diciamo, sennò rischierebbe di eliminare schifo dal suo vocabolario togliendoci gran parte del divertimento.
Studente otto anni fuori corso, prima a Scienze politiche poi a Storia, “nullafacente” per sua franca e confidenziale ammissione nell’ intervista televisiva guadagnata da concorrente a “Il pranzo è servito”, quiz al tempo condotto da Davide Mengacci su Canale 5, dove risolve, in tempi record, il rebus “incassare tangenti”, vantandosi di conoscere bene quel tipo di situazioni perché vive a Milano. È il 1993, e il piacere di essere al centro della scena si interseca fino a fare da sfondo alla felice candidatura nel consiglio comunale di Milano.
ANTONELLO CAPORALE
MATTEO SALVINI
Non c’ è massa indistinta, ma relazione paritaria dentro la quale Salvini sviluppa il suo percorso politico, realizza le fondamenta della sua ascesa.
La felpa di Salvini ha tanti appellativi (localizzata, geolocalizzata, manifesto) e insieme a polo, t-shirt autografate con ruspe e piumini sportivi, è diventata famosa come il tubino nero di Audrey Hepburn o, per rimanere in ambito politico, il portaocchiali di Bertinotti. Insomma, è un capo caratterizzante, quello che fa e parla il monaco (Eco 1976-1977), trasmettendo le sue posizioni ideologiche.
SALVINI E CONTE GUARDIA DI FINANZA
Salvini è dotato di un ricco guardaroba di felpe, che mutano a seconda della sua localizzazione geografica, per sottolineare, con tanto di scritta sul cuore, quanto tiene all’ Italia, nella sua interezza. A questo punto è lecito chiedersi: e la Padania? La risposta la recita una delle sue magliette: “Padania is not Italy”.
La paura fa milioni di followers La paura pervade la nube di senso salviniana, irradiandosi al suo interno ora silenziosamente, ora con clamore. Cos’ è la paura? Consultando l’ enciclopedia Treccani ci rendiamo conto che siamo dinnanzi a uno “stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso”.
Matteo Salvini doma e alimenta la paura con la campagna elettorale permanente: ogni giorno accende nuovi timori e cancella quelli appena passati. Nella retorica salviniana degli ultimi anni la paura ricorre spesso, assume significati diversi in relazione ai contesti in cui viene evocata, pertanto potremmo definirla poliedrica e multifunzionale, duttile e avvezza ad adattarsi alle varie occasioni d’ uso, ma anche proteiforme, dato che spesso cambia volto e nome.
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Fonte : PositanoNews.it