Oggi, nella chiesa di Sant’Anna al Porto, alle ore 20, il quarto appuntamento della III edizione i “Concerti in Luci d’Artista”, firmata da Antonia Willburger, con il flauto di Michele Barbarulo e l’arpa di Valentina Milite
Di OLGA CHIEFFI
Quarto appuntamento, stasera, per l’edizione 2017 di “Concerti in Luci d’Artista”, la sezione invernale dei “Concerti d’estate di Villa Guariglia in Tour” che, quest’anno ha allestito un percorso di ben otto appuntamenti. A firmarne l’organizzazione è il CTA di Salerno, l’Associazione “Amici dei Concerti di Villa Guariglia”. Alle ore 20, al centro dell’ottagono della incantevole chiesa di Sant’Anna al Porto, s’incontreranno e scontreranno due strumenti simbolo del dionisiaco e dell’apollineo, il flauto di Michele Barbarulo e l’arpa di Valentina Milite. La serata principierà con l’Arabesque n°1 di Claude Debussy, prima composizione del genio francese che deriva un suo titolo dalle arti visive, e si spinge a immaginare questo vocabolo pronunciato da Mallarmé in uno dei suoi “martedì”. Il concetto di arabesco è di importanza decisiva per penetrare molti momenti dell’opera di Debussy. Alla base dell’arabesco pittorico non vi è più la distinzione tradizionale fra sfondo e figura. Allo stesso modo l’arabesco musicale in Debussy è una linea pura che si fa protagonista. Con queste linee estetiche, la prima Arabesque esordisce in maniera del tutto significativa: la linea melodica sale e scende in continuazione e sinuosamente, senza che in essa possano entrare elementi di espressività troppo diretta. Seguirà il Vocalise-Etude en forme de Habanera di Maurice Ravel, una splendida variante del capolavoro dei Sites auricolaires, la cui habanera sprigiona un potere di fascinazione immediato, ragion per cui, non è affatto escluso che Rachmaninov, scrivendo nel 1912 il suo Vocalise, avesse presente l’exploit del collega francese. Saranno le note di Astor Piazzolla a condurre il pubblico oltreoceano, in terra d’Argentina, perché fu lui il primo compositore a portare i suoni e i ritmi del tango dai bordelli e dalle milongas alle sale da concerto della colta Europa. Tutto questo è raccontato dalla celebre pagina per flauto e chitarra, che ascolteremo nella trascrizione per arpa, Histoire du tango, una suite strumentale in quattro quadri, della quale verranno eseguiti i primi due, che racconta il ballo argentino dai suoi albori come musica da bordello, danzata, al passaggio a musica da caffè, solo ascoltata dal pubblico e con una spiccata vena romantica. E’ una sorta di astrazione del suono della formazione classica nata per eseguire il tango che copre l’evoluzione della danza nel corso del ventesimo secolo. Il tango si è evoluto da una precedente danza popolare chiamata milonga, che è essa stessa evoluta dal ritmo cubano noto come habanera. Come il jazz nordamericano, ha avuto origine nei quartieri a luci rosse, così il primo movimento è intitolato “Bordel 1900”. La milonga relativamente signorile è raffigurata qui come se fosse stata scossa in una nuova forma da una pesante iniezione di erotismo. Il ritmo punteggiato di habanera / milonga è esagerato e in questa forma non è accettato nella società signorile. Il secondo movimento è “Café 1930”. Ormai, il tango era la danza preferita di tutte le classi sociali in Argentina ed era conosciuto come una danza audace in tutto il mondo, Piazzolla lo ha trascritto direttamente dai suoi ricordi, sottolineando le caratteristiche del tango suonato nei caffè di Buenos Aires. Arpa protagonista nella suite dell’arpista americana Pearl Chertok, Around The Clock, di cui Valentina Milite proporrà “Ten past two”, “Beige nocturne” e “Harpicide at midnight”. Pearl Chertok ha sempre visto nel suo strumento un oggetto su cui attivare ricerche. La tradizionale immagine dell’arpa intesa come creatura fatata e sensuale, in grado di dare tocchi di magia e di femminilità alla scrittura musicale, è rovesciata dalla sua produzione, nella quale i contatti con il jazz e la sensibilità metropolitana sono sempre evidenti. Around the Clock datata1948, è una suite, dal punto di vista formale: ovvero una successione di danze, proprio come accadeva in epoca barocca. Ma questi tempi ballabili, in realtà, sono densi di suggestioni moderne, che rimandano inequivocabilmente alla cultura americana. Lo stesso titolo sembra anticipare il celebre brano di Bill Haley, Rock around the Clock, pietra miliare della grande stagione rock and roll. Ma anche i singoli movimenti alludono al repertorio dei locali notturni e delle big band. In Ten Past Two il tic-tac dell’orologio si mescola a un ragtime di chiara ispirazione afroamericana; Beige Nocturne riflette ancora qualche raggio di impressionismo attraverso un chiaro di luna dai tratti vagamente esotici; poi, l’arpa si trasforma nella spiritosa arma di un omicidio (o meglio di un arpicidio, stando al titolo del brano) con un ritmo funky da cui trapela qualche reminiscenza del sinistro Dies irae. Virtuosismi da salonmusik con le Variazioni in mi maggiore per flauto e pianoforte sulla linea di canto dell’aria “Non più mesta” della Cenerentola di Gioacchino Rossini, il tema della stretta per il rondò finale di Angelina, elaborate da Fryderyk Chopin in modo piacevole e accattivante. Le quattro variazioni sono insolitamente incorniciate dal tema stesso che ritorna in forma invariata alla fine dell’opera, quasi a suggerire al pubblico di tornare alle radici della musica. Le variazioni stesse includono un’ambientazione minore particolarmente commovente del tema principale che costituisce il fulcro dell’opera, mentre le altre sezioni sono tipicamente appariscenti con il flauto che cinguetta felicemente sulla linea del basso. Si passerà, quindi, alla sonata per flauto ed arpa in Sol Minore di Gaetano Donizetti datata 1819, formata da due movimenti di chiara matrice operistica, con il secondo noto anche come “Allegro Gallemberg”, in quanto aveva come riferimento le note del “pas de deux” di un balletto di Wenzel Robert von Gallemberg, “Ismann’s Graab”, musicista austriaco che soggiornò diversi anni a Napoli e ricoprì importanti ruoli nell’ambito del Teatro di San Carlo. Finale affidato all’ Entr’ Acte di Jacques Ibert, un’esplorazione intimamente francese e meravigliosamente ricca di colori, dei timbri e delle possibilità coloristiche dei due strumenti, condotta attraverso una scrittura aerea e raffinata.
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