Massa Lubrense, 1 giugno – Sabato 1 giugno, alle ore 18.00, presso l’Antica Cattedrale di…
Massa Lubrense, 1 giugno – Sabato 1 giugno, alle ore 18.00, presso l’Antica Cattedrale di Santa Maria delle Grazie, si terrà un evento culturale di grande rilevanza per gli amanti dell’arte e della storia locale. Il professor Pierluigi Leone de Castris, rinomato storico dell’arte, terrà una conferenza dal titolo: I tesori d’arte del territorio di Massa Lubrense tra il Trecento e il Cinquecento.
L’evento, curato da Maria Grazia Spano, è organizzato dall’associazione Azione in Comune e dal Centro Studi e Ricerche “B. Capasso”, entrambe realtà impegnate nella valorizzazione e promozione del patrimonio artistico locale.
Il professor de Castris è una figura di spicco nel panorama della storia dell’arte moderna. Ordinario presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, è anche direttore della Scuola di Specializzazione in Storia dell’arte e vicario del Rettore per la Cappella Pignatelli e il patrimonio artistico dell’università. Il suo impegno nel campo della valorizzazione del patrimonio storico-artistico, in particolare del sud Italia, è testimoniato da una lunga carriera accademica e da numerose pubblicazioni e conferenze.
Nel corso degli anni, il professor de Castris ha dedicato particolare attenzione al territorio di Massa Lubrense, contribuendo alla scoperta di opere di grande valore e incentivando i suoi studenti ad approfondire la conoscenza di questa area. La sua conferenza rappresenta un’occasione imperdibile per conoscere meglio i tesori artistici locali e apprezzarne l’importanza storica e culturale.
L’incontro è aperto a tutti gli interessati e rappresenta un momento di approfondimento culturale da non perdere.
Non mancate.
Fino a qualche anno fa sembrava che l’attività meridionale del grande scultore senese Tino di Camaino – vero protagonista della svolta in chiave moderna e toscana della scultura in marmo nella Napoli angioina – si fosse in qualche modo ‘fermata’ a Cava de’ Tirreni, sede di importanti sue opere databili fra il 1329 e il 1331, e non fosse giunta a toccare i pur ricchi centri della penisola sorrentina e amalfitana1 . Un’attività, la sua al Sud, d’altronde prevalentemente napoletana; un’attività strettamente legata in massima parte alle commesse di sepolcri, Madonne e altari in marmo a lui rivolte in primis dalla famiglia reale angioina, da re Roberto, dalla moglie Sancha e dal figlio Carlo di Calabria – ch’erano stati d’altronde, e con ogni probabilità, i promotori del suo trasferimento da Firenze a Napoli come ‘scultore di corte’ nel 13242 – e in seconda battuta, a quanto sembra, dai principali esponenti della corte e della più stretta cerchia dei sovrani, come gli arcivescovi di Napoli Annibaldo Caetani e Giovanni Orsini, il protonotario e logoteta del regno Bartolomeo di Capua o l’arcivescovo di Salerno Orso Minutolo3 ; senza dire che anche la sua presenza e la sua cospicua attività nella citata abbazia di Cava de’ Tirreni, al servizio – diceva un’epigrafe oggi perduta e trascritta a fine Settecento dal de Blasi – dell’abate Filippo de Haya, in carica dal 1316 al 1331, non sembrano d’altronde essere cose estranee a questo suo ruolo di ‘scultore di corte’, con ogni probabilità spiegabili anzi, come ha giustamente rilevato Francesco Aceto, sulla base del peso a corte «dell’influente fratello di Filippo, Giovanni de Haya, reggente della curia della Vicaria, dal 1329 in rapporti stretti con lo scultore senese quale responsabile amministrativo della costruzione della Certosa di San Martino e del castello di Belforte»4 . Da qualche anno in qua, tuttavia, si è visto che questa immagine così tanto ‘napoletana’ e così esclusivamente legata al ruolo di Tino in città e a corte non è forse del tutto rispondente al vero, che qualche deroga dové forse esserci, e soprattutto – per quello che qui più ci interessa – che le vivaci cittadine della penisola sorrentina e amalfitana doverono ricevere qualche opera di mano dello scultore senese in persona, e non solo della sua bottega o dei tanti scultori locali del suo seguito. Nel 2004, ad esempio, Antonio Braca ha illustrato per la prima volta un bel frammento di fronte di sarcofago coi Santi Giovanni Battista e Matteo (fig. 2) – in realtà già segnalato come opera di Tino dal Toesca nel 19515 – conservato nella sacrestia della chiesa del convento francescano di Sant’Antonio ad Amalfi (oggi trasformato in Hotel Luna), ipotizzando, sulla base di un’iscrizione mutila che lo accompagna, che esso fosse stato commissionato allo scultore senese dal frate francescano del luogo Michele Cardine6 . Nel 2009 Aceto ha riferito a Tino in persona un rilievo con un San Pietro conservato nella chiesa di San Pietro a Monticchio (fig. 3c), un casale di Massa Lubrense, giustamente supponendolo parte di uno smembrato trittico in marmo con la Madonna e il Bambino, san Giovanni Battista e san Pietro del quale sino a quel momento si conoscevano i primi due pannelli, l’uno murato sulla facciata della chiesa di Santa Maria di Castello a Castrovillari, in Calabria (fig. 3b), e il secondo già in collezione Loeser a Firenze ed ‘emigrato’ negli anni Cinquanta prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, in collezione Alana a Newark (fig. 3a)7 . E nel 2011, infine, lo stesso Aceto ha pubblicato una piccola Madonna col Bambino in legno intagliato e dipinto conservata nella chiesa di Santa Maria del Principio a Ponteprimario, una frazione di Maiori (fig. 8), attribuendo anche quest’ultima scultura – raro esempio di un prodotto di natura cultuale, destinato alla devozione privata, e per di più appunto in legno – alla mano di Tino8 . Sebbene il San Pietro di Monticchio – indipendentemente dal quesito su quale fosse poi la sua collocazione originaria – sia a mio avviso il pannello del trittico oggi smembrato in cui più forte si sente la presenza d’un aiuto di bottega9 , e sebbene l’iscrizione col nome di fra’ Michele Cardine sul rilievo di Amalfi sia in realtà frutto di un riutilizzo d’epoca più tarda10, ci sono oggi dunque le tracce e le condizioni per ipotizzare che un’attività di Tino per e forse nei territori della penisola e della costiera vi sia stata, e per introdurre dunque con fiducia la discussione di un pezzo di notevole qualità proveniente per l’appunto da una chiesa dell’attuale diocesi di Sorrento e questa volta riferibile – io credo – senza dubbi o incertezze alla mano stessa del grande artista senese. Si tratta di una Madonna col Bambino in marmo alta 67 centimetri, appartenuta alla chiesa di Santa Maria della Misericordia, nel casale omonimo di Massa Lubrense non distante da Monticchio (fig. 4), ed oggi conservata in un deposito di sicurezza a cura della locale parrocchia; una scultura fin qui rimasta del tutto estranea alle ricerche e alla bibliografia su Tino di Camaino, ma non del tutto ignota agli studi, se nel 1917 Riccardo Filangieri ne pubblicava una piccola immagine nel suo Sorrento e la sua penisola, definendola – non senza una qualche ragione – come una «statuetta della scuola dei Pisani»11; e se un’altra immagine – questa volta un particolare del busto – è comparsa più di recente sulla copertina di una pubblicazione del locale Archeoclub, accompagnata da un più puntuale riferimento al nome di Tino di Camaino in persona12. Realmente questa squisita e falcata Madonnina ha qualcosa a che fare con i più celebri e antichi esemplari in marmo, o anche in avorio, prodotti a cavaliere fra Due e Trecento da Giovanni Pisano, da quelli ora nel Museo dell’Opera del Duomo e nel Museo Nazionale di San Matteo a Pisa a quello realizzato nel 1306 per l’altare della Cappella degli Scrovegni a Padova, in genere caratterizzati da una rispondenza altamente gotica di linee curve e insieme da un gioco di intensi e teneri sguardi fra la Madonna ed il Bambino13; e ancor di più essa ha a che fare, nella resa più lieve dei panni sovrapposti, nell’eleganza più languida e nella natura più larga e pingue del Bambino, con le altre Madonne isolate, stanti e a figura intera, in rilievo o a tutto tondo, prodotte da Tino a Napoli, come quelle dell’Ashmolean Museum di Oxford, della chiesa di San Pietro a Fondi, del Detroit Institute of Arts o della basilica di Santa Caterina a Galatina (fig. 9)14. Rispetto a queste ultime, tuttavia, la sin qui trascurata Madonnina di Massa Lubrense tiene in braccio il Bambino con ancor più meditata tenerezza, e gli porge con la destra una melagrana, mentre quest’ultimo tiene con la sinistra non un uccello – come negli altri casi – ma appunto la melagrana stessa, simbolo della Passione, laddove con la destra afferra arditamente un lembo del velo della madre.
Fonte : PositanoNews.it