Bagno di folla nella Sala San Tommaso del Duomo di Salerno, per Daniele Lettieri, Salvatore Minopoli, Nicola Straniero e Achille Del Giudice con Ernesto Pulignano al pianoforte, protagonisti di un concerto semiserio dedicato alle abitudini dei tenori
Di OLGA CHIEFFI
Debutto col botto per i 4 Ever Tenors, Daniele Lettieri, Salvatore Minopoli, Nicola Straniero e Achille Del Giudice, con la loro “vittima” predestinata, il pianista accompagnatore, Ernesto Pulignano, “Povero Ernesto”, gemme riconosciute della massima istituzione cittadina, il Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, i quali hanno meravigliosamente inaugurato, nella Sala San Tommaso della Cattedrale, la III edizione della rassegna della rassegna “Concerti in Luci d’artista”, un percorso di otto concerti, proposto da “Concerti d’estate di Villa Guariglia Winter”, organizzati dal CTA, e firmati da Antonia Willburger, istrionici protagonisti di un concerto semiserio dedicato alle cattive abitudini dei tenori, per la sorprendente regia di Marilena Laurenza. Ernesto Pulignano, attraverso le sue parodie, le sue freddure, le sue tragedie in due battute, che possiamo quotidianamente godere sulla sua pagina facebook, scenette teatrali basate sul “nonsense” e sul paradosso, che riescono a porre in luce la pericolosità dei luoghi comuni sui tenori, scardinandoli dall’interno e dissolvendoli nella loro assurdità, è riuscito a far muovere i personaggi che sul palcoscenico, in un’ atmosfera di sospensione ossessivamente nutrita di dettagli, in cui tutti, anche la platea hanno “giocato” eccellentemente il proprio ruolo, realizzando la vertigine letteraria del “Povero Ernesto”. Ci è, così, apparso innanzi il tenore con la fissazione dei medicinali, un Salvatore Minopoli perfetto interprete della parodia “Non canto più”, e ancora, Daniele Lettieri ha sfatato il mito del tenore musicalmente incolto, soffiando il posto al “Povero Ernesto”, al pianoforte, martoriato in tutti i modi (privato degli occhiali, le stringhe delle scarpe legate da un attacco sotto il piano….), gli spartiti non mandati a memoria da parte di Nicola Straniero, la richiesta di cambio di tonalità, attacchi mancati di Achille Del Giudice, attraverso le parodie firmate da Ernesto Pulignano sulle arie di Tosti. Si è “seriamente” scherzato con le promettenti voci dei quattro ragazzi, i docenti si sono messi in gioco per questo spettacolo di non facile lettura e attuazione. Quale la lezione di questa produzione? Che se nel corso di studi non si hanno marachelle, aneddoti, accadimenti da raccontare il cui ricordo rimarrà per sempre vivo, andando a posizionarsi nel proprio bagaglio affettivo e “sentimentale”, prima di studente, poi di uomo, quell’ insegnamento sarà scivolato via come acqua su pietra o, forse, non avrà sortito alcun effetto sulla propria formazione. Ma il Dipartimento di Canto, che sembra divertirsi ad ogni incontro, producendo di anno in anno frutti che calcano da anni i massimi teatri internazionali, ci ha presentato l’ultima generazione, di cui abbiamo applaudito la voce di Salvatore Minopoli, in La fleur que tu m’avais jetée, con i suoi toni lirico-sognanti dell’uomo innamorato, appoggiati su di un bel timbro ambrato, specchio della disperazione di chi per amore ha tentato tutto quale è Don Josè, accento incisivo, suoni sostenuti e canto sul fiato, per il Federico di Daniele Lettieri, interprete di “E’ la solita storia del pastore” proposta con emissione morbida, suoni lunghi e puliti, la voce corposa e ben gestita nelle dinamiche, ma senza abbandoni in eccessivi languori, il Pinkerton di Achille Del Giudice, dai mezzi vocali generosi, che ha proposto “Addio, fiorito asil”, con il giusto piglio e scioltezza, grazie a un bel timbro e a un mezzo vocale che acquista corpo soprattutto quando sale nel registro medio acuto, per chiudere la rassegna “seria” delle quattro voci con l’Andrea Chènier di Nicola Straniero, sfumato e appassionato tra fierezza e fragilità, in “Come un bel dì di maggio”, in una miscela complessa, cangiante e moderna di passione e poesia. Poi, i tenori hanno inteso dare spettacolo con le più amate canzoni della tradizione napoletana, scimmiottando i cantanti che sanno di avere bella voce e acuti sicuri, coinvolgendo il pubblico femminile in sala, augurando tutto il bene possibile ai “Personagges à longues oreilles” per dir dei critici con Camille Saint-Saèns, passando dalla zarzuela, all’operetta viennese, sino alla canzone italiana “spiegata”, senza pensieri, non negando di elevare il “Vincerò!” con tanto di sciarpa alla Pavarotti, non lasciando così dormire il pubblico salernitano ma ponendosi in attesa del Natale con White Christmas, col pianoforte intermittente. Pubblico in delirio e bis dei 4 ever tenors, con il terzo inno d’Italia per far ritornare a splendere ‘ O sole e, con esso, la certezza di un luminoso percorso.
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