Il 2024 segna un importante anniversario per il Museo Correale di Sorrento, che celebra il…
Il 2024 segna un importante anniversario per il Museo Correale di Sorrento, che celebra il suo centenario con un ciclo di incontri dedicati alla storia dell’istituzione e alla sua visione culturale. L’evento intitolato “Conversazioni d’Arte al Correale”, che si terrà l’11 ottobre 2024 alle ore 17:30 presso la Sala degli Specchi del museo, è parte di questa iniziativa commemorativa.
Il tema dell’incontro sarà “Alle origini del Museo Correale: Carlo Giovene di Girasole e l’idea del Museo per tutti”, una riflessione sull’ispirazione e la visione dietro la nascita del museo. La conferenza sarà tenuta dalla professoressa Nadia Barrella, ordinario di Museologia presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, che guiderà il pubblico alla scoperta delle fondamenta dell’istituzione. L’introduzione dell’evento sarà affidata a Lorenzo Giovene di Girasole, mentre i saluti istituzionali saranno pronunciati da Gaetano Mauro, presidente del Museo Correale. A moderare il dibattito sarà Costanza Martina Vitale.
L’evento non solo renderà omaggio alla figura di Carlo Giovene di Girasole, ma si concentrerà anche sulla sua concezione del museo come luogo aperto a tutti, come esprime una delle sue citazioni più celebri: “…Il museo deve essere come un facile libro nel quale tutti devono poter leggere…” (dal discorso inaugurale del 10 maggio 1924).
L’incontro rappresenta un’opportunità per comprendere le radici e lo sviluppo di uno dei musei più importanti della Campania, un luogo che da sempre si è distinto per il suo impegno nella promozione culturale e nell’accessibilità del sapere.
Nadia Barrella: Una Vita Dedicata alla Museologia e alla Storia del Collezionismo
Nata a Napoli nel 1963, Nadia Barrella è una delle figure di spicco nel panorama museologico italiano. Professore ordinario di Museologia e Storia del Collezionismo presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” (settore scientifico-disciplinare LART04), ha dedicato la sua carriera allo studio e alla divulgazione del patrimonio culturale, sia attraverso l’insegnamento che tramite la pubblicazione di numerosi volumi accademici.
Dopo essersi laureata con il massimo dei voti in Lettere nel 1986 presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, Nadia Barrella ha proseguito il suo cammino accademico, specializzandosi nella museologia, con particolare attenzione alla storia del collezionismo e alla museografia, divenendo presto una delle voci più autorevoli nel campo.
Tra le sue numerose opere, spicca il libro “I ‘Cocci’ in Rolls-Royce: Carlo Giovene di Girasole e i musei d’ambientazione nella Napoli degli anni Venti”, un saggio che esplora il contributo di Carlo Giovene di Girasole nel panorama museale napoletano, focalizzandosi sul concetto di “musei d’ambientazione”, una tendenza che prese piede negli anni Venti del XX secolo. In questo volume, Barrella analizza il ruolo fondamentale di Giovene di Girasole nella creazione di musei più accessibili e orientati al grande pubblico, un tema ancora oggi di estrema attualità nel dibattito museografico.
Nadia Barrella, assieme alla professoressa Gioconda Cafiero, una stimata studiosa e conterranea, ha inoltre curato il ciclo di incontri “Narrare il Patrimonio Museale”, un’iniziativa che ha riscosso grande successo. Questo ciclo di sette conferenze, svoltosi tra dicembre 2022 e giugno 2023 presso la Fondazione Ezio De Felice a Napoli, ha affrontato i temi della museografia e della museologia, offrendo uno sguardo approfondito e multidisciplinare sul modo in cui i musei narrano e trasmettono il patrimonio culturale alle nuove generazioni. Gli incontri hanno coinvolto esperti del settore e hanno permesso un ricco dialogo tra teoria e pratica museale, dimostrando ancora una volta l’importanza della riflessione continua su queste tematiche.
Il contributo di Nadia Barrella alla museologia contemporanea è significativo non solo per la qualità delle sue pubblicazioni, ma anche per la sua capacità di creare spazi di dialogo e riflessione sul futuro dei musei, sempre con un’attenzione particolare all’accessibilità e all’educazione del pubblico. Grazie alla sua visione innovativa e al suo impegno, Barrella continua a essere una figura di riferimento per chiunque si occupi di patrimonio culturale e collezionismo.
dal libro I “COCCI” IN ROLLS-ROYCE CARLO GIOVENE DI GIRASOLE E I MUSEI D’AMBIENTAZIONE NELLA NAPOLI DEGLI ANNI VENTI di Nadia Barrella. Lucianoeditore
CAPITOLO SECONDO
Il Museo Correale di Terranova a Sorrento: continuità e innovazione del museo aristocratico ottocentesco
2.1 Il crepuscolo dell’aristocrazia: la nascita del Museo Correale di Sorrento e il ruolo di Carlo Giovene
Sul Museo Correale di Sorrento, costituito nel 19041 ed
aperto al pubblico vent’anni dopo, non sono certo mancati,
sin dalla sua fondazione, studi, anche di qualità, orientati tuttavia,
di solito, ai singoli nuclei collezionistici o alla storia dei
suoi fondatori2. Molto poco, invece, si è lavorato sulla forma
del museo, troppo spesso genericamente comunicato come
“casa-museo”3, favorendo l’idea che a Sorrento si fosse proceduto
alla musealizzazione di una preesistenza più che alla realizzazione
di uno spazio espositivo appositamente creato grazie
ad un preciso progetto museologico.
È indubbio che le figure dei donatori, Alfredo e Pompeo
Correale, e la qualità di alcuni nuclei collezionistici abbiano attratto
maggiormente gli studiosi ma altrettanto evidente è che,
per il Museo Correale come per altri musei italiani, sia stata
sottovalutata (procedendo in seguito ad una rilevante trasformazione)
una scelta espositiva ritenuta “antimoderna” e poco adatta alla lettura dell’opera
d’arte nei suoi puri valori formali.
Nato dall’aggregazione di diversi nuclei collezionistici presenti nelle case di Pompeo ed
Alfredo4 e non dalla semplice riorganizzazione del preesistente, il Museo Correale, quello
aperto per la prima volta al pubblico, è una decisa proposta museografica, un istituto che,
forse più appropriatamente, andrebbe definito “museo arredato” costruito per somigliare
ad una lussuosa abitazione e raccontare, educando, una storia di luoghi, di arti e di persone.
Un museo nuovo e sicuramente diverso dai tanti che, ancora in quegli anni, si mostravano
restii ad abbandonare una museologia vecchia, poco evocativa ed elitaria.
Nel corso del XIX secolo Pompeo ed Alfredo Correale avevano raccolto una notevole
quantità di beni e, sulla scia dei grandi collezionisti napoletani (primo fra tutti Gaetano Filangieri),
avevano poi deciso di garantirne la pubblica fruizione. Presenti all’Esposizione
di arte antica di Napoli del 1877 -che non poco contribuì alla musealizzazione delle grandi
collezioni private5 – nel 1904, guardando proprio all’istituzione filangieriana di via Duomo6,
Alfredo e Pompeo eressero il Museo Correale come Ente Morale autonomo composto di
«quadri antichi e moderni, di una collezione di acquerelli e disegni, di una svariata collezione
di porcellane, maioliche e terraglie, di mobili artistici ad intarsio ed intaglio, di alcuni
argenti e di altri oggetti». La storia, loro e del museo, la racconta – forse meglio di scritti
più recenti – Giuseppe de Montemayor:
«Il padre loro- si legge in «Napoli Nobilissima»-era un vecchio liberale […] egli li educò
all’amore della patria e dell’arte; essi completarono la loro educazione viaggiando molto
e raggiunsero nella conoscenza degli oggetti artistici una straordinaria perizia, alla quale
Pompeo aggiunse anche l’abilità artistica, diventando uno dei migliori scolari del Gigante.
E così man mano si dettero a raccogliere quadri, porcellane, maioliche, terraglie,
argenti, bronzi, cristalli di Boemia, vetri di Venezia e mobili in tanta quantità e con tali
criteri artistici da formare delle collezioni di non poco valore, conservate attualmente
nella casa di Napoli, in quella già dei Falangola in Sorrento, nel palazzo della Rota e
nella villa del Capo anche in Sorrento. Allora venne loro in mente il pensiero di farne
un museo a Sorrento, culla della loro famiglia, che era ascritta a quel patriziato nel sedile
di Porta, e dove ne rimanevano ancora vive tante memorie. […] Il palazzo della Rota,
scelto per sede le Museo, e il fondo Capo di Cervo, che lo circonda, destinato a formarne
il patrimonio, appartengono da tempo antichissimo alla famiglia […]. Non è possibile
– scrive de Montemayor- fare una descrizione del futuro museo, trovandosene le diverse
collezioni sparse nelle case e nelle ville di Napoli e Sorrento»7.
Sceglie, quindi, di darne un cenno sommario elencando le più importanti raccolte e citando
poi, per intero, il testamento di Pompeo prima e di Alfredo poi. La Villa alla Rota di
Sorrento, nel 1900 proprietà di Alfredo, è da subito indicata come sede per l’esposizione
degli oggetti8probabilmente anche per la qualità del paesaggio e per i terreni circostanti che
vanno a costituire la rendita fondamentale per il mantenimento dello stesso museo. Eretto
a “vantaggio e beneficio del pubblico” l’istituto è indicato, nel testamento di Alfredo, anche
come possibile spazio del racconto della città. Qui, infatti, «potranno essere riuniti e raccolti
i marmi archeologici ed altre cose artistiche che possiede il Comune di Sorrento o che riguardano
la Città di Sorrento»9. È evidente che i “patrizi sorrentini”10 abbiano pensato di
legare indissolubilmente la storia della famiglia a quella del luogo. È tipico di molta nobiltà
ottocentesca, del resto, legarsi a quei terreni che erano in grado di conservare, almeno in
termini simbolici, una condizione di privilegio che non aveva più alcuna base legale. Per i
Correale, la Villa alla Rota diventa il luogo della loro autolegittimazione attraverso un percorso
espositivo in grado di ricordare l’antichità e la nobiltà della schiatta nei luoghi e attraverso
gli oggetti della stessa Sorrento11 referente privilegiata della capitale -a partire dal XV
secolo- proprio grazie alle sue famiglie ed al loro potere politico, economico e sociale.
«Posti ai margini della vita pubblica – scrive Annunziata Berrino- che la famiglia aveva
dominato lungo tutta l’età moderna, gli ultimi Correale cercano un’ultima legittimazione
del loro status e della loro distinzione aristocratica nella fondazione del Museo, che oltre a
mostrare il loro gusto privato avrà la funzione di ostentare a chi lo visiterà la loro rete di
rapporti con l’alta nobiltà»12. Il legame museo-archivio che, come Filangieri, i Correale vorranno
portare all’interno della villa è un’ulteriore conferma di questa volontà di formare e
raccontare una “casata” che univa i membri in una lunga catena di generazioni e al tempo
stesso li connetteva a un gruppo di parentela molto più vasto.
Unificando le raccolte di Pompeo e di Alfredo, l’istituzione avrebbe dovuto dar “lustro
alla città dei nostri avi” ed evitare lo “sperpero” degli oggetti assicurandone la conservazione
e la memoria dei fondatori. Donando – tra l’altro – mobili, specchiere, “burò, buroncino e
cassettino”, “lampieri”, orologi e specchiere i Correale certamente orientarono l’allesti-
mento verso un impianto di tipo ambientalistico in grado di mostrare anche il gusto della
famiglia ma gli oggetti che andarono a costituire il museo giunsero a Sorrento – in tempi e
da luoghi diversi – molto dopo la loro morte e la donazione alla città, quando, cessato l’usufrutto
di Angelica de’ Medici, Principessa di Ottajano e moglie di Pompeo (morta nel 1917
e residente a Napoli), il Consiglio di Amministrazione del Museo avviò i lavori di adeguamento
a spazio espositivo della villa ed incaricò, all’uopo, Carlo Giovene di Girasole. Difficile,
dati i presupposti teorici illustrati, immaginare un ordinamento rigidamente
scientifico e classificatorio del museo che sarebbe stato inadeguato a dar forma visibile alla
mission individuata da Pompeo e Alfredo e va precisato, inoltre, che i Correale – se si
esclude qualche piccola raccolta – furono privi di un preciso kunstwollen collezionistico e
operarono acquisti o acquisirono oggetti probabilmente per l’arredo delle case. Toccherà
a Carlo Giovene interpretare la loro volontà e trasformare il patrimonio di opere d’arte dei
Correale in una “risorsa simbolica”, rivedere la funzione dei valori culturali, delle pratiche
simboliche, e più specificamente dei meccanismi informali di prestigio e d’influenza che
servirono a perpetuare il ricordo e l’identità della schiatta.
L’avvio al processo di realizzazione del Museo Correale di Sorrento viene dato, nelle
sale del Museo Filangieri, il 19 settembre 1917. L’ente morale sorrentino è inizialmente diretto
da un consiglio d’amministrazione di cui fanno parte: il Principe Stefano Colonna di
Paliano, direttore del Museo Filangieri, il cav. Luigi Cariello, il Comm. Tommaso Astarita
e il Cav. Manfredi Fasulo. Nei primi verbali del Consiglio, com’è facilmente comprensibile,
ci si dedica all’organizzazione giuridica ed economica del museo precisando la storia della
donazione e le diverse tappe che hanno portato alla nascita dell’istituto: i testamenti dei
due fratelli del 1900, lo statuto del 1904, l’usufrutto dei beni lasciato alla moglie di Alfredo,
la morte di quest’ultima nel 1917, la scelta della sede. Poi, nel mese di ottobre dello stesso
anno, si avviano i sopralluoghi a Sorrento13. Lo spostamento delle opere da Napoli è decretato
il 20 ottobre 1917, ma, prima dell’arrivo delle stesse, il consiglio decide di procedere
ai lavori di messa in sicurezza delle «porte e finestre del primo piano, mediante serrature
alle porte d’ingresso e paletti di legno dietro le finestre ed i balconi». Le verifiche sul contenitore
prescelto convincono il consiglio della complessiva inadeguatezza della sede e della
necessità di lavori di ripristino. Nel verbale del 16 febbraio 1918 – che ha per ordine del
giorno “lavori all’edificio” – si legge quanto segue:
«il Presidente […] riferisce che dovendosi addivenire all’adattamento della casa Correale
a Museo, per collocarvi i mobili ed oggetti costituenti il patrimonio artistico, ha
chiesto un parere al riguardo, all’egregio Ingegnere Sig. Carlo Giovene dei duchi di
Girasole, ed egli, in seguito alla visita dei locali ha indicato le riparazioni allo stabile e
le opere a farsi, che si riferiscono. Esso Presidente soggiunge che per effettuarsi i lavori,
occorre dividerli in varii lotti per somme inferiori alle lire 500, allo scopo di poter così
pagarli con dilazione, in varii tempi, essendo l’unica entrata patrimoniale, costituita
dallo estaglio del fondo che si incomincerà ad esigere nel luglio c.a. e si salderà nel giu-
gno 1919 secondo il contratto di fitto. Interessa poi i componenti ad invitare il prelodato
ingegnere ad assumere la direzione dei lavori»14.
L’avvio dei lavori al Museo Correale è ricordato anche da Carlo Giovene nel suo manoscritto
già più volte citato:
«Nel 1918 – scrive lo stesso Carlo – venuta a morte la Principessa di Ottaiano Angelisa
dei Medici, usufruttuaria dei beni del Conte Pompeo Correale, fu costituito l’Ente Morale
Correale di Terranova, da formarsi colle raccolte di Arte Antica dei Conti Alfredo
e Pompeo Correale e con quella lasciata in eredità dalla medesima Principessa di Ottaiano.
Il Giovene (il testo è sempre scritto in terza persona nda) ebbe incarico simultaneo
dagli eredi Ottaiano e dal Consiglio di Amministrazione dell’Ente Museo di
procedere allo studio, alla scelta ed all’ordinamento degli oggetti per erigere il nuovo
museo nella Villa Correale di Sorrento»15.
Carlo Giovene entra dunque quasi subito nella storia del Museo sebbene, in un primo
momento, solo come direttore dei lavori di restauro della sede. La scelta di affidare a Giovene
anche l’organizzazione dell’esposizione e la complessiva progettazione del museo non
tarda però a venire. Nell’agosto del 1918, il Presidente esorta il consiglio a pensare alle
“norme di ordinamento” del museo e propone che «sia fatto invito all’egregio Ingegnere
Carlo Giovene dei duchi di Girasole, di dirigere e stabilire il collocamento dei mobili ed
oggetti d’arte legati al Museo».
Difficile capire esattamente quali strade possano aver portato Giovene al Correale. Continuando
a prender spunti dal romanzo del figlio, di cui abbiamo avuto modo di verificare
la stretta connessione con le reali vicende familiari, balza agli occhi un’indicazione che si
riferisce al 1917: «poiché le privazioni della guerra si facevano sentire in città, Gian Luigi
[Carlo] trasferì la famiglia anzi tempo nella stagione, a Sorrento»16 tornando a Napoli solo
nel mese di ottobre. Ci sarebbe dunque, se fa fede il romanzo, una strettissima coincidenza
tra la presenza di Giovene nella città dei Correale e l’avvio dei lavori nella Villa alla Rota.
Questa coincidenza potrebbe servire a spiegare le circostanze che hanno portato il nostro
ingegnere al museo: è nel posto giusto al momento giusto e con le giuste competenze. Ma
c’è forse qualche altra considerazione che, sempre a partire dal romanzo, è possibile fare.
L’immediato dopoguerra corrisponde, per la romanzesca famiglia Sansevero, al periodo in
cui viene completata la grande casa di Monte di Dio. Qui, come si è detto anche nel capitolo
precedente, Gian Luigi sistema e rende visibile la sua grande raccolta di oggetti d’arte dal
1917, periodo in cui avvia attività mondane per «vagliare e cernere le persone […] secondo
criteri determinati e perché valessero stabilire quella specie di osmosi tra la pratica politica
e l’eleganza mondana che fu sempre l’appannaggio delle classi elette»17. Gian Luigi costruisce
un nuovo sistema di contatti e di relazioni sociali che – in un contesto economico, politico
e sociale notevolmente modificatosi – devono poter servire al rafforzamento del suo
ruolo sociale, legittimare la famiglia, restituire vigore all’antica nobiltà. Feste, cotillon e salotti
sono gli strumenti utilizzati da un uomo che vuol esser nuovamente parte dell’alta aristocrazia
napoletana, quella «élite nobiliare, tanto altezzosa» di cui si circonda quasi
quotidianamente. Non escluderei che lo stesso abbia fatto Carlo: sistemata la casa di Via
Nicotera, esposta la collezione, lavora per reinserire la famiglia «nel circolo di una splendida
vita sociale e mondana»18. È quindi molto probabile che il riferimento alle feste ed ai salotti
del libro nasca da un rituale salottiero avviato anche da Carlo Giovene che, giunto ai vertici
della piramide della ricchezza, cerca nuova legittimazione presso l’ampia società di cui il
salotto è parte organica e diretta emanazione. Diverso dai salotti sette-ottocenteschi, quello
di fine otto – inizi nove continua, anche a Napoli, ad essere spazio importante di socialità
informale utile per acquisire rispettabilità ma anche, comprensibilmente, capacità “contrattuale”.
Credo che in quest’ambiente Giovene abbia ricreato quei rapporti con la nobiltà
napoletana che lo portano a Sorrento, alle iniziative degli anni venti ed al Museo nella Floridiana.
Se l’esser nobili aveva significato, in passato, non solo esser distinti dagli altri ceti
ma anche godere di deleghe giurisdizionali concesse dal sovrano oppure essere una parte
dello stesso corpo sovrano, già alla fine dell’Ottocento, ben poco era ormai rimasto di questo
universo nobiliare. La Grande Guerra danneggia ulteriormente il poco rimasto. L’identità
di ceto della nobiltà, si è detto, «al massimo poteva essere riempita di piccole e tronfie
strategie sociale, dalla soddisfazione di esibire sui propri cartoncini da visita il titolo, o sulle
portiere delle carrozze e sul portone dei palazzi di città e di campagna lo stemma con le insegne
araldiche di famiglia»19. Se il declino della presenza aristocratica è considerevole nella
vita politica e amministrativa della nazione, diversa è la reale portata del coinvolgimento
aristocratico nella sfera pubblica a livello locale. La nobiltà napoletana tende, come avviene
in molte altre parti d’Italia, ad esercitare la propria influenza nella vita pubblica proponendosi
quale simbolo onorevole e disinteressato dell’ordine e della stabilità sociali, organizza
attività filantropiche, presiede consigli direttivi nelle più importanti istituzioni in campo
culturale e assistenziale e diventa socia fondatrice di società sportive e ricreative. Carlo Giovene,
con la sua grande casa che faceva di lui “un sopravvissuto ed un antesignano”, è un
perfetto interprete di tutto ciò, per interesse – certo – ma anche per vocazione: Carlo, come
il Gian Luigi del romanzo, è«un ibrido, nel quale il paladino e il capitano d’industria, [sono]
serrati dentro la stessa persona, pur rimane[ndo] divisi»20.
All’imprenditore e al paladino insieme guarda con interesse il Consiglio d’amministrazione
del Correale. L’imprenditore entra nella Villa alla Rota. Ad operare sarà però soprattutto
“il nobile cavaliere” che a Sorrento cercherà – come aveva fatto nella propria casa ma
valutando le necessità del “nuovo” museo rivolto ad una molteplicità di pubblici – di creare
uno spazio in grado di rappresentare ancora i fasti di quell’antica nobiltà il cui “imborghesimento”
è, di fatto, ancora poco accettato. «Egli – leggiamo ancora nel Curriculum di
Carlo – si accinse all’opera dedicandosi ad essa per oltre sei anni, e compiendo da solo ogni
necessario lavoro, perché mancavano i mezzi per procurarsi qualsiasi aiuto. E rinunciò ad
ogni compenso ed al rimborso delle non lievi spese incontrate nel lungo periodo di esecuzione
del lavoro compiuto in sito lontano dalla sua residenza»21.
2.2 La riscoperta del Barocco: Giovene e l’allestimento di ambientazione
«Il Museo fu solennemente inaugurato dal Ministro Gentile il 10 maggio 1924, ed è
stato in seguito visitato da numerose alte personalità, che ne hanno lodato l’ordinamento,
da qualcuna di esse indicato come modello da seguirsi. In tale senso si sono pronunciati
anche illustri critici esteri. Ma, malgrado tutto ciò, la esistenza di questo Museo
pare che sia ufficialmente sconosciuta alla Direzione Generale delle Belle Arti»22.
Fonte : PositanoNews.it