Sabato 26 e domenica 27 maggio 2018, prima nell’Oratorio di Sant’Agata poi una escursione a…
Sabato 26 e domenica 27 maggio 2018, prima nell’Oratorio di Sant’Agata poi una escursione a Crapolla, per conoscere insieme all’Associazione studi Folenghiani di
Merlin Cocai è nome d’arte del monaco benettino e poeta mantovano Teofilo Folengo, vissuto nel primo Rinascimento (Mantova 1491 – Campese-Bassano del Grappa 1544).
Il Progetto Merlin Cocai nasce dalla convergenza di due iniziative sorte in maniera autonoma verso il 1991, in occasione del quinto centenario della nascita del Poeta. Da un lato, il prof. Giorgio Bernardi Perini, docente di Letteratura Latina ed insigne studioso folenghiano, organizzatore di importanti convegni di studio sul Poeta, desiderava riunire un gruppo permanente di ricerca attorno alle tematiche folenghiane; dall’altro, Otello Fabris, appassionato allo studio del Folengo per diletto, desiderava far conoscere il Poeta ad un pubblico più vasto possibile, allo scopo di farne apprezzare la qualità e di valorizzarne le risorse, legate anche al territorio ed alla storia di Bassano.
L’avvio dell’Associazione avviene nel 1993 a seguito dell’incontro tra un gruppo di membri dell’Accademia Virgiliana di Mantova guidati dal Prof. Giorgio Bernardi Perini (con il presidente Claudio Gallico e il segretario generale Rodolfo Signorini) ed Otello Fabris, promotore delle “Serate Macaroniche di Autunno” a Bassano del Grappa.
Da quella data prende le mosse la nostra Associazione.
Il progetto viene selezionato nel 2002 dal Premio Impresa Cultura (già Premio Cultura Guggenheim) assieme ad altri 120 progetti d’impresa di aziende italiane.
I Luoghi Folenghiani
Le vicende biografiche del Folengo non sono ancora del tutto chiarite. La loro ricostruzione è stata complicata dal fatto che egli stesso ha fornito notizie fuorvianti, inducendo in errore i biografi. La revisione critica avviata dal Billanovich e proseguita dai suoi collaboratori ha portato a molte novità. I frequenti spostamenti avevano contribuito a creare, per il Folengo, l’immagine del monaco irrequieto. In realtà , gli spostamenti biennali da un monastero all’altro, costituivano una prassi normale presso i benedettini.
Proponiamo ora un itinerario italiano sulla base della biografia folenghiana accertata.
Cipada. Villaggio situato sulla riva orientale del Lago di Mantova, ove la Famiglia dei Folengo disponeva di un piccolo castello. Qui il Poeta colloca la nascita di Merlin Cocai, “putinello de stirpe folenga”. Quindi qui egli dichiara di essere effettivamente nato, nel 1491. Cipada oggi non esiste più. Sul suo territorio si è collocata la zona industriale di Mantova e rimane solo il toponimo di “Via Cipata”.
Mantova. In Mantova il giovane Folengo, battezzato Girolamo, si recava spesso, anche al seguito del padre Federico, che esercitava il mestiere di notaio presso i Gonzaga. Qui strinse amicizia con i componenti della famiglia ducale, in particolare con Federico II , del quale conosce persino tutti i migliori cavalli, celebrati nella Toscolanense.
Ferrara. Girolamo viene mandato, per i suoi primi studi impegnativi, a Ferrara. Appare strana questa scelta, tanto più che antenato di Girolamo era Vittorino da Feltre, fondatore della “Casa Gioiosa“ di Mantova, una sorta di liceo del tempo dove venivano educati alle lettere i giovani della nobiltà cittadina. Lo stesso Folengo ci informa della sua esperienza scolastica ferrarese nel Chaos del Triperuno, opera in gran parte a sfondo autobiografico. Egli narra delle sue prime prove poetiche in latino: “Non mi ritrago a dirti alquanti versi da me ancor fanciullino composti, trovandomi su quello di Ferrara in certa villa, mandatovi da mio padre per imparare lettere appresso d’un prete, lo quale molti scolari teneva soggetti, e più li belli che li brutti”. Lascia presto Ferrara, facendo intravedere il suo futuro profilo merliniano: “Ferrara cortesa non per mosche o tavanelle mi è a noia, ma perché ivi raccoglionsi lor vini su le groppe de le rane. Pensa mo’ qual eccidio, qual ruina sarebbe del mio stomaco”.
Mantova. Ritornato a Mantova, Girolamo non vi rimane molto. Lascia i giochi e le feste popolari che con tanta partecipazione e trasporto descriverà nelle Macaronee: il gioco del pallone, delle cugole, il calendimaggio, le danze forsennate animate dai famosi pifferai mantovani, le corse con i cavalli nella campagna per il palio, la caccia con i rapaci:
“Mantua est totis melior citadis,
Mantuae gens est bona, liberalis,
Mantuam semper squaquarare sentis”.
Mottella. Per entrare a Mantova, sulla riva orientale del ponte di San Giorgio. c’è la località Mottella, dove esisteva il convento per i cui frati “Est Deus his venter, broda Lex, Scriptura bottazzus”. Nonostante il deprimente spettacolo offerto da questi sciagurati frati, Girolamo prende gli ordini religiosi.
Brescia, Sant’Eufemia. Nella primavera del 1508, diciassettenne, Girolamo viene accompagnato al monastero benedettino di Sant’Eufemia fuori le Mura, a Brescia, dove l’anno successivo emette i voti, assumendo il nome di Teofilo. E’ in questo monastero quando, nel 1512, Gaston de Foix mette a ferro e fuoco la città. Qui conosce gli orrori e le distruzioni della guerra. Per una recente scelta del Comune di Brescia, l’antico ed illustre monastero, finalmente restaurato, diventa la sede dell’Associazione che organizza le “Mille Miglia”.
San Benedetto Po (Polirone). Scampato ai massacri, nel 1512 Teofilo viene trasferito al grande monastero di San Benedetto Po, “capitale” della Congregazione Benedettina, dove prosegue la sua formazione monastica, avendo come compagni quelli che saranno i più importanti protagonisti del movimento per la riforma cattolica: l’amatissimo fratello maggiore Giambattista, destinato a diventare uno dei maggiori esponenti dell’Ordine; Dionisio Faucher, Benedetto Fontanini, Gregorio Cortese, che in quell’anno era cellerario ed aveva commissionato al Correggio l’affrescatura del grande Refettorio. Il monastero, uno dei più grandi d’Italia, venne fondato sull’isola formata alla confluenza dei fiumi Po e Lirone ( e perciò fu detto Polirone) nel 1007 da Tedaldo di Canossa. Vi si trova la sepoltura della celebre Matilde, in una cappella ornata da preziosi mosaici dell’epoca. Lavorarono al Polirone anche artisti come Giulio Romano e Paolo Veronese. Lo Scriptorium produsse codici miniati di grandissimo valore. Il Folengo lo ricordò come luogo di santità; Martin Lutero fu invece colpito dall’ostentazione di fastosa ricchezza. Ad esso erano soggetti anche i territori dipendenti dal monastero di Campese e perciò tutta la destra del Canale di Brenta. Il monastero fu devastato e saccheggiato durante il periodo napoleonico in maniera irrimediabile.
Tuttavia il complesso colpisce ancora per la sua grandiosità e bellezza; di grande suggestione è la Chiesa abbaziale, che conserva le severe strutture romaniche e gotiche, e bellissimi arredi lignei del ‘500.Il Museo dell’Abbazia è sistemato nell’antico refettorio. Suggestivi chiostri ornati ancor oggi da giardini all’italiana, corrono attorno agli altri edifici con l’Infermeria Nuova ,la Sala del Capitolo, la Foresteria dei Secolari, il Palazzo dell’Abate, la Biblioteca. In questi edifici viene oggi ospitato il MUSEO DELLA CULTURA POPOLARE PADANA, con collezioni di eccezionale interesse, specialmente per quanto riguarda la scultura lignea ed il teatro dei burattini.
Padova: Santa Giustina. Teofilo completa la sua formazione scolastica e religiosa nel monastero di Santa Giustina a Padova. Alla Santa Martire padovana egli rimarrà particolarmente devoto, dedicandole anche alcuni sonetti nel suo Chaos del Triperuno. Nella figura del grande riformatore dell’Ordine Benedettino,
Ludovico Barbo, sepolto e onorato in Santa Giustina, egli avrà un riferimento sicuro nelle difficoltà che andrà incontrando sul piano della coerenza vocazionale. Ma, soprattutto, a Padova egli rimane folgorato dalla bellezza e dalle capacità espressive della poesia macaronica. “Mantua me genuit, Patavi rapuere” (“Mantova mi generò e Padova mi rapì”), dice un’iscrizione sul suo sepolcro. Egli ascolta, nell’ambito degli studenti ma anche dei docenti, la declamazione di quei versi che vengono composti nell’allegria dei conviti con intenti parodici e satirici, e decide che quello sarà il suo mezzo artistico per comunicare tutta la ricchezza della sua “Phantasia plus quam fantastica”.
Pomposa: Abbazia di Santa Maria. Intanto viene nominato diacono e inviato, nel 1515, alla famosa abbazia di Santa Maria di Pomposa, al tempo alquanto malconcia, tanto da sembrare “magni nominis umbra”. Abate del monastero è dom Giovanni Cornaro, grande estimatore e protettore del Folengo, il quale ne ricorderà con affetto le virtù. Il Cornaro è ormai prossimo alla morte, avvenuta, a quanto denuncia il Folengo, per avvelenamento. Nelle Macaronee si incontrano alcuni ricordi di questo soggiorno, in particolare nel nome dato a uno dei personaggi più famosi di Merlino: la vacca Chiarina, “vaccarum maxima”, vittima dell’ingordigia dei frati della Mottella e della stupidità del suo padrone. Nell’elenco delle vacche alloggiate nelle stalle del monastero stilato da un cellerario nel 1516, c’è infatti una “Giarina, sive bianca”.
Con questo nome il Folengo chiama la sua Chiarina nella prima edizione del Liber Macaronices, che fa stampare nel 1517 a Venezia da Alessandro Paganino, e perciò nota come “Paganini”.
Cesena: Santa Maria del Monte. Intanto viene ordinato sacerdote e passa al monastero di Santa Maria del Monte, presso Cesena, città di cui descrive le ricchezze dovute alle cave di zolfo e al generoso vino dolce dei suoi colli, dove “Bacchus solet albergare”.
Brescia: Sant’Eufemia. Nel 1520 è di nuovo a Sant’Eufemia di Brescia. Incontra il Paganini, che nel frattempo ha trasferito la sua tipografia a Toscolano, sulla riva occidentale del Garda. Con lui ha un bisticcio terribile, al punto da costringere il tipografo a darne documentazione in calce alla nuova redazione delle Macaronee, l’Opus Merlini Cocaii che l’editore ha in corso di stampa.
Toscolano Maderno (BS). Siamo nel 1521. La questione fra Paganini e Teofilo era nata perché questi continuava, con mille storie, a negare l’autorizzazione alla pubblicazione di questa seconda versione della sua opera. Il Paganino si lamentava che non volesse soddisfare le pressanti richieste di “tanti signori, cardinali, vescovi, dottori, oratori, relligiosi, laici, li quali mai non cessano di vessarmi, stimularmi che homai produca tal opera”. A concludere la vicenda è il marchese di Mantova, Federico Gonzaga, amico e protettore del Folengo, il quale, avendo in suo possesso una copia del manoscritto, la consegna al tipografo con l’ingiunzione di stamparla senza l’autorizzazione dell’autore. Folengo , infuriato, giunge a Toscolano mentre si sta stampando l’opera; esige la sospensione del lavoro e l’inserimento di correzioni e precisazioni.
Pomposa. Teofilo intanto deve ritornare a Pomposa, dove rimane fino al ’22. Il monastero è nei guai: i monaci avevano tentato di accorpare il Bosco del Vacolino, giurisdizione del cardinale Ippolito d’Este, fratello del Duca di Ferrara, approfittando della sua morte avvenuta nel 1520. Il cardinale, che amava andare a caccia in quel bosco, è una vecchia conoscenza dei buongustai, in quanto abbiamo testimonianza dei banchetti che allestiva per lui Cristofaro Messisbugo. I monaci, per questo tentativo di appropriazione, hanno guadagnato invece la scomunica; e nel registro del capitolo che decide il da farsi per risolvere la situazione è annotato anche il nome di Teofilo. Egli decide con i confratelli anche la vendita di alcuni beni per saldare un debito contratto dal monastero.
Ferrara. Recandosi a Ferrara probabilmente per queste questioni, ha occasione di incontrare l’Ariosto, il quale in quell’anno ha pubblicato la seconda edizione dell’Orlando Furioso.
Della frequentazione del Folengo con l’Ariosto a Ferrara parla Vigaso Cocaio, prefatore dell’edizione postuma delle Macaronee di Merlino: “Et è pur vero che esso Merlino trovandosi a ragionare con M. Ludovico Ariosto in Ferrara dell’opera sua divina, cioè del furioso Orlando, intese da lui, che nulla, o poco, haverebbe fatto, se la minuta, o vogliamo dire essemplare, del maestro suo Boiardo non gli fosse pervenuta alle mani…”. E’ affascinante immaginare questi due giganti della letteratura padana discorrere tra loro, sullo sfondo degli splendidi palazzi ducali ferraresi, dove l’Ariosto viveva a strettissimo contatto coi duchi ai quali, dice Vigaso, “ogni giorno ne recitava un Canto”. Nella Toscolanense, il Folengo esprime la sua meraviglia nell’osservare lo splendido abbigliamento in uso nella città, che trovava altrettanto bella: “Mille trovat fogias in vestis pulchra Ferara” . E sottolinea con una glossa: “Ferrara pompas vestium”.
Da queste discussioni letterarie, particolarmente vivaci, nasce in Folengo la voglia di riprendere il tema del paladino Orlando. “Accade dunque che Merlino vedendo le rime del Furioso essere in quella altezza ponno salire, così di arte, come di elegantia castigatissima, gli venne desio di riformar etiandio quelle del Boiardo, essendone pur molte non rispondenti alle norme limatissime d’oggi”. Il problema linguistico è particolarmente sentito in quei tempi a Ferrara, dove spesso era stato presente Pietro Bembo, il riformista della letteratura d’allora, legato da personale amicizia a Lucrezia Borgia. Un problema su cui prende più volte posizione il Folengo, specialmente nel Chaos e nell’Orlandino. Il suo impegno in questo campo si riscontra anche con la sua adesione all’Accademia degli Intronati di Siena, di cui è uno dei primi associati. L’ammirazione del Folengo per Ariosto è incondizionata, e ne dà testimonianza più volte nelle sue opere. Nella Toscolanense lo chiama “magnus Ariostus, laus, gloria, palma Ferarae”. Nella Palermitana, sottolineerà il fatto che la bravura di Ariosto in fatto di epica cavalleresca ha fatto sfigurare quasi tutti gli altri autori: “Quanti di guerre (han scritto) che il gran ferrarese, fuor che il suo mastro ed altri duo, vilmente a far coperchi agli orcioletti rese” .
Parma, San Giovanni Evangelista, Torrechiara, Castelnuovo. Fra il 1522 e il 1524, dom Teofilo è a Parma, nel monastero di San Giovanni Evangelista e nelle sue due dipendenze di Torrechiara e Castelnuovo. “Parma facit grossas scocias, grossosque melones” (“Parma fa grosse zucche e grossi meloni”) annota il Folengo, sempre pronto a rilevare le tipicità dei luoghi. Ma intanto matura per lui una situazione che diventa insostenibile.
Il motivo principale che mette in crisi la sua presenza nell’Ordine Benedettino sembra essere la sua fortissima ostilità – che gli studi attuali rendono giustificata pienamente – verso l’abate Ignazio Squarcialupi, in quegli anni diventato capo della Congregazione. Teofilo, personalità decisamente spigolosa, non è il tipo che piega facilmente la testa di fronte all’autoritarismo del superiore, ed è costretto a lasciare il monastero, anche in conseguenza di accuse che appaiono infondate. Siamo nel 1525.
Venezia. Le difficoltà non sono piccole, per uno nella sua posizione, ma fortunatamente trova subito chi lo sostiene: da Venezia interviene Luigi Grifalcone, vecchio allievo del filosofo mantovano Pietro Pomponazzi, ben noto al Folengo. Grifalcone aveva insegnato a Parigi, chiamatovi da Francesco I; si era quindi sistemato a Venezia, a insegnare presso il cenobio dei Santi Giovanni e Paolo. Quando pubblica l’Orlandino Teofilo gli esprime gratitudine, affermando di aver avuto la fortuna, nella disgraziata uscita dal monastero, di essere incappato in Grifalcone. E’ questi, a quanto pare, a presentare Teofilo a Camillo Orsini, governatore veneto della città di Bergamo, il quale assume il Folengo come precettore del figlio Paolo. Anche il doge Andrea Gritti, già eroico condottiero nella difesa della Repubblica Veneta contro Massimiliano I, conosce e apprezza l’opera letteraria del Folengo, gli rende onore, ricevendolo a Palazzo Ducale e concedendogli stima e protezione. Teofilo ne celebra le virtù nella “Selva Seconda” del Chaos e così ricorda il loro incontro: “Al Ciel or triunfando spiego l’ale; / Non ho di sorte ch’io più tema l’onte, / Dapoi ch’anti sì altera e degna fronte / Ragiono, ed ella udirmi assai la cale”.
Dom Teofilo arriva perciò a Venezia come una personalità amata, rispettata e onorata.
Egli conserva il nome e lo stato di monaco, come risulta dagli incartamenti intercorsi tra i librai veneziani e il Senato veneto per le autorizzazioni alla stampa e la tutela dei diritti editoriali della sua nuova opera, Orlandino, che esce nel 1526 in due edizioni presso l’editore Garanta.
Camillo Orsini è in quel momento subalterno di Francesco Maria della Rovere, duca d’Urbino, il quale riveste il grado di comandante generale delle truppe venete di terraferma.
Bergamo: Diventa perciò plausibile l’ipotesi di un soggiorno del Folengo a Bergamo, scherzosamente annunciato da Merlino: “Menter ego, in Berghem lauratus et urbe Cipada” (“Mentre io, laureato a Bergamo e nell’Urbe di Cipada”).
O come nel Chaos del Triperuno: “Similmente trovami essere manco idoneo ad ascoltare toscano che bergamasco, e questo men aggrediscimi del romano o vòi latino”.
Al seguito dell’Orsini, Teofilo deve affrontare ancora una serie di eventi bellici, scatenati dalla Lega di Cambrai, seguendo le truppe venete presso cui il suo giovanissimo allievo Paolo ha già acquistato fama di buon combattente e comandante. Essendo Teofilo il suo precettore, e tenendo Camillo costantemente con sé il figlio, è ovvio che il nostro Poeta sia stato, suo malgrado, coinvolto nelle vicende belliche degli Orsini. Egli fu così testimone oculare di una seconda disavventura coi Lanzichenecchi. Carlo V, con l’intento di mantenere la sua supremazia su Milano, ordina a Giorgio Frundsberg, colonnello tirolese, di passare in Italia con un grosso numero di tedeschi, per dar soccorso a Milano minacciata dalle truppe di Giovanni dalle Bande Nere
Lonato. Ma le difese poste da Orsini ai passi bergamaschi e bresciani deviano gli invasori verso il Garda:
“De ripa Trenti gens haec ubriaga calavit,
celsaque passarunt montis fastigia Baldi,
nodavere lagum, tandem venere Saloium,
pars ibi smontavit naves, pars mansit in undis”“dalla riva di Trento calò questa gente ubriaca,
e passarono le alte sommità del monte Baldo,
navigarono il lago, venendo a Salò;
parte smontò dalle navi, e parte rimase in acqua”.L’avanzata lanzichenecca continua, preceduta da intensi bombardamenti della fortissima artiglieria tedesca:
“Artelaria stetit rocchae ruginenta Monighae,
nec cum bellaci bravavit gente Padenghi,
moeniaque antiqui fundo tremuere Lonati”“la rugginosa artiglieria battè la rocca di Moniga,
spadroneggiò con la gente combattiva di Padengo,
e fece tremare dalle fondamenta le porte dell’antica Lonato”Lonato venne difesa da Camillo: è quindi plausibile che Teofilo fosse con lui alla difesa della Rocca. I fatti avvengono nel 1526.Venezia. Nel corso di questo movimentato anno egli avrebbe avuto la possibilità di scrivere l’Orlandino (che dice di aver composto di furia in soli tre mesi) e il Chaos del Triperuno, che viene stampato a Venezia dal Garanta il primo gennaio del 1527. In queste circostanze, Teofilo ha modo di vivere con una certa intensità gli ambienti veneziani. Appassionato esperto di musica, conosce i maggiori autori contemporanei italiani, francesi e fiamminghi, e in questo periodo incontra alcuni celebri musici, che nomina nell’Orlandino: Gian Maria dal Cornetto, padovano, suonatore di cornetto; Silvestro Ganassi dal Fontego col cugino Girolamo Piva e Luigi da Bassano, noto trombonista che verrà ingaggiato con tutti i suoi familiari per il King’s Musik di Edoardo VIII, re d’Inghilterra.
Non fa una parola, invece, sulla pittura veneziana del momento. Carpaccio muore giusto nel ’26, mentre Tiziano è attivissimo nel giro delle personalità che Teofilo frequenta: il duca d’Urbino, l’Ariosto, Federico Gonzaga; ma è anche amicissimo di Pietro Aretino, che va sparlando della religiosità dell’Orsini e della sua cerchia di amici.
Colli morenici Mantovani. Torniamo intanto alla cronaca merliniana della calata lanzichenecca: i tedeschi, vista la difesa di Lonato, piegano verso Mantova. Volta Mantovana, che si trova sulla via, non oppone resistenza, ma i suoi uomini riescono a stendere a terra, ubriachi, i lanzichenecchi, rotolando davanti a loro botti di… vernaccia. Mentre Goito
“nocte dieque focum spudat, mollatque corezas”“notte e giorno sputa fuoco, e molla scoregge”,Giovanni dalle Bande Nere insegue i tedeschi, cercando di ingaggiare battaglia per fermarli sul Po. Sa che ormai la loro mèta è il Vaticano. Con Giovanni ci sono i Veneziani comandati dal Duca d’Urbino e perciò, quasi sicuramente, anche Camillo con Paolo. Giovanni dalle Bande Nere ingaggia battaglia con grande ardimento, ma viene raggiunto dal colpo di falconetto d’un fante spagnolo. Merlino descrive il fatto nel Baldus con la precisione e il patema del testimone oculare:
“Nonne saguratos quisquam, sguatarusque bisunctus,
atque pedocchiorum plenus, distructio panis,
nonne retro muro latitans, et quattus adocchians,
lontanusque pians miram, stringensque ribaldum
mozzandamque manum, resonansque per aera tuf tof,
solus amazzabit, passabit pectora solus
aut tibi, de Medicis fortissime Gianne brigatis
terribilem cuius forzam scit mundus atornum?”“Non vorrai che uno sciagurato qualunque, uno sguattero bisunto
e pieno di pidocchi, distruttore di pani,
non vorrai che stando nascosto dietro un muro, e adocchiando quatto,
prendendo la mira da lontano e stringendo ribaldo
la mano da mozzare e facendo risuonare per l’aria tuf tof,
da solo possa ammazzare, da solo possa passare il petto
a te fortissimo Gianni delle brigate dei Medici,
la cui terribile forza sa tutto il mondo attorno?”Al fatto sono presenti anche il Machiavelli e Pietro Aretino, il quale assiste Giovanni fino alla morte. L’uccisione di Giovanni de’ Medici dà occasione tanto al Machiavelli quanto a Teofilo di inveire contro l’uso delle armi da fuoco nelle battaglie; esse mortificano l’eroismo dei combattenti più prodi, abituati ad affrontare faccia a faccia l’avversario in leale duello, secondo le antiche regole e gli ideali della cavalleria, valori che il Folengo ripropone, purtroppo inutilmente, con i suoi poemi: “Basta ferire e ammazzare da lontano, come oggi fanno quelli che portano schioppi, come quelli che in guerra portano archibugi, moschetti e paramosche”.
Mentana. Itedeschi passano il Po: Roma è già perduta. L’ardimentoso Camillo si reca a Venezia per avere l’autorizzazione a correre alla difesa della Città Eterna, dove la famiglia possiede importanti beni. In questa occasione è ancora con lui Teofilo, il quale probabilmente si ferma per strada, a Mentana, nel Castello degli Orsini: “Luntano da Roma dieci miglia; castello nobile si per la vecchiezza di esso, si per la generosissima famiglia di Orsini, di quello e d’altre assai terre posseditrice e madonna”. Oggi il castello è in parte crollato e in parte puntellato, mentre è ben conservato il palazzo degli Orsini. Di Mentana Merlino celebra una famosa vigna degli Orsini.
Roma. Papa Clemente, che si vede a mal partito, sapendo il valore di Camillo, gli consegna la guardia di una parte di Borgo, “alla quale fu dato l’assalto dagli Spagnoli”. Gli Imperiali, rotte le difese, riescono a entrare in Roma come un’orda assatanata. Camillo, narra il suo biografo Giuseppe Orologi, si salva “uscendo dalla città per un condotto di sporcitie et non sapendosi alcuna nuova di lui, fu con grandissimo cordoglio dalla moglie e da tutti i suoi cercato fra i corpi morti, dandosi ogn’uno a credere che in quel primo impeto fosse stato ammazzato da’ nemici”.
Probabilmente anche Teofilo è fra i disperati familiari che rovistano in quell’immensa carneficina in cerca di Camillo, durante una tregua.
Spoleto. Intanto il prode Orsini, narra Orologi, “dopo aver fatto alquanti miglia a piedi scalcio et molto male in arnese a simiglianza di privatissimo soldato si ritirò in Spoleti, et vi si fermò alcuni giorni, aspettando quelli della famiglia, i quali havendo havuto l’avviso che egli si trovava in quella città, vi concorsero tutti quasi in un medesimo tempo da diverse parti. Onde egli vedendoli tutti adunati, si pose in cammino verso Lombardia”. Anche in questa circostanza, sono da considerare fra i famigliari accorrenti il figlio Paolo ed il precettore Teofilo.
Bergamo: Camillo riprende il suo posto a Bergamo e nell’esercito veneziano. Siamo ormai nel 1528 e la situazione politica si evolve. Venezia si allea con la Francia e inizia una campagna di guerra per la conquista del Regno di Napoli. Camillo Orsini viene nominato comandante generale delle truppe venete e parte per l’impresa, dove ha come antagonista Ferrante Gonzaga, amico di Teofilo.
Puglia. La lunga e inconcludente guerra, condotta per la quasi totalità sulle terre pugliesi, viene arrestata finalmente dalle trattative di pace fra Carlo V e Francesco I. Siamo intanto nel 1529.
Il Senato veneziano, per non ostacolare tali trattative, richiama le sue truppe.
Venezia. Camillo rientra a Venezia nel 1530 “raccolto da i Signori del Governo, e quasi universalmente da tutta la città con gratissime accoglienze, e grandissimi honori, e vi si fermò lungamente con suo grandissimo interesse, trattenendo sempre a spese sue tutti i Capitani che l’avevano servito nella guerra di Puglia, oltra quelli che andavano, e venivano, tenendo egli all’hora una vita piena di splendore, e di grandezza” .
Nonostante gli “splendori” che ruotano attorno agli Orsini, in Teofilo permane il richiamo della vita religiosa e, desideroso di rientrare in monastero, si predispone ad affrontare un periodo di vita eremitica. Basterebbe questa sua decisione per far piazza pulita di tutte le illazioni che ancor oggi si fanno sul suo impegno di religioso.
L’Enciclopedia Britannica ha parlato recentemente di lui come di “un dissoluto monaco benedettino del Rinascimento italiano”. Venezia offriva celebrità, comodità, donne e conviti che neppure la fantasia di Merlino poteva immaginare.
Sirolo (Ancona). Il 20 ottobre del ’30 s’imbarca invece per Ancona, da dove raggiunge il fratello Giambattista all’eremo di Sirolo, presso il monte Conero. Anche il fratello prediletto, nei tempi della crisi di Teofilo frattempo, era stato costretto a lasciare il monastero, probabilmente per gli stessi motivi di Teofilo, vivendo per parte del suo tempo in Liguria. I percorsi dei due fratelli, d’ora in avanti saranno molto vicini, anche dal punto di vista letterario.
Tossicìa (L’Aquila). Dal Conero si spostano presto a Tossicia, sul Gran Sasso. Sembra che tuttavia questo passaggio sia fatto solo da Giambattista.
Punta Campanella (Sorrento) e Ischia. I Folengo sono ancora assieme a Punta Campanella, vicino a Sorrento, presso l’eremo di San Pietro a Crapolla. Di tanto in tanto incontrano comuni, vecchi amici: il cardinale Reginald Pole, uno dei prelati cattolici più in vista, candidato al papato, e Vittoria Colonna, marchesa di Pescara e castellana di Ischia, promotrice d’ incontri letterari e spirituali che richiamano, da tutta Europa, intellettuali della riforma cattolica.
In questo periodo è intensa la produzione letteraria di Teofilo che comunque, nella penitenza dell’eremo, non tralascia d’inveire contro le deviazioni dei religiosi del suo tempo.
Nel 1533 pubblica a Venezia, presso Aurelio Pincio, L’Umanità del Figliol di Dio, innovativo poema epico di carattere religioso, ove impiega per la prima volta l’ottava rima. In quest’opera, Folengo sottolinea il valore dei meriti di Cristo nei confronti delle opere dell’uomo ai fini della sua salvezza, e ribadisce il valore più profondo del messaggio espresso dal Presepio per vivere la Fede. Un tema già esposto, peraltro, nel Chaos del Triperuno, pubblicato nel “mondano” periodo veneziano.
Nello stesso anno viene stampata anche la raccolta Pomiliones, dialoghi col fratello Giambattista, e pure la raccolta di poesie in latino Varium poema. Il tema delle mascherature, dell’ambiguità e delle allegorie torna ancora in Janus, opera ispirata al dio latino bifronte, sul tema del tempo. Sono scritti pochissimo conosciuti, che l’Associazione Amici di Merlin Cocai si è impegnata a rimettere in circolazione in edizioni critiche aggiornate.
Sulzano (Bs). Finalmente, grazie alle pressioni del duca Federico Gonzaga, sempre vicino a dom Teofilo, gli viene concesso nel 1534 di rientrare in monastero: viene destinato a Sulzano, sul lago d’Iseo, in un primo tempo alla chiesa di San Benedetto (o San Mauro) sul monte Capra, e successivamente allo sperduto cenobio di Santa Maria del Giogo, nei boschi che circondano l’impervia via che da Sulzano conduce alla Val Trompia. Nonostante questo isolamento, molto più drastico del periodo eremitico, Teofilo produce diciannove Passioni di santi martiri, in latino, che vengono pubblicate nella raccolta intitolata Hagiomachia. Ma, soprattutto, inizia la produzione di una nuova versione delle Macaronee, che sarà nota come Cipadense, poiché finge di darla alle stampe nel famoso villaggio mantovano di Cipada presso un editore inesistente, Acquario Lodola.
A toglierlo dal deprimente isolamento di Sulzano è Ferrante Gonzaga, diventato nel frattempo vicerè di Palermo, che governa per conto degli Spagnoli.
S. Martino delle Scale, Borgetto , Palermo. Teofilo, separato ormai da tempo dal fratello, scende nel 1539 in Sicilia dove viene accolto nel principale monastero dell’isola, San Martino delle Scale, situato in una conca della vetta del monte che domina Monreale. Non avrà perciò una residenza in città; anzi, in un secondo tempo gli sarà affidata la cura del priorato di Santa Maria delle Ciambre, nel comune di Borgetto, ancora più periferico rispetto a Palermo. Ma la città e la Sicilia avranno, da Teofilo, la prima opera del teatro siciliano moderno: L’Atto della Pinta, una sacra rappresentazione piuttosto complessa, dove viene narrato il percorso della Salvezza, dalla Creazione del mondo all’Annunciazione a Maria. Folengo inizia anche un nuovo poema, rimasto incompiuto, che ritorna ancora sul valore del Presepio come fondamento della Fede cattolica, dal titolo Palermitana.
Campese (VI). Con questo manoscritto arriva a Campese, “contrada annessa” al territorio autonomo dei Sette Comuni Vicentini nel 1542. Viene accolto nel monastero della Santa Croce, posto sotto la giurisdizione di San Benedetto Po. Viene costretto a partire dalla Sicilia, che abbandona con dolore: “Dolce terra, che sei per me come la mia patria, Ciambre, passione mia, ricevi il mio ultimo saluto: sono obbligato a partire”.
A Campese, territorio della tollerante Serenissima, si ritroverà in un luogo tranquillo e confortevole, in un cenobio senza pretese, ma frequentato da monaci di ottimo livello intellettuale. Appena al di là della Brenta, la chiesa parrocchiale di Solagna dedicata a Santa Giustina, raggiungibile con un traghetto, trasporta i suoi ricordi e il suo sentimento religioso ai tempi migliori di Padova. Qui ritrova addirittura alcuni suoi compagni di studi, e ha quasi sicuramente modo di conoscere alcuni personaggi vicini alla sua cultura, alla sua sensibilità e alle sue tensioni, come il pittore Jacopo da Ponte e i suoi figli, attivi anche per il piccolo priorato campesano. La sua fama intanto continua a volare nel mondo: nello stesso anno, a Siviglia viene stampato il Baldus in lingua catalana.
Il 9 dicembre 1544 – mentre, accantonata la Palermitana, è al lavoro per una quarta redazione delle Macaronee – passa ad altra vita. La fervida fantasia del Folengo viene interrotta poco dopo il compimento del cinquantatreesimo anno. “Fu vinto non dall’età, ma dalla fatica degli studi”: così testimoniano, con una delle prime epigrafi celebrative, i suoi compagni di letture e confratelli, dom Nicolò da Salò e dom Colombano da Brescia.
Il poeta conclude il suo ultimo giorno con la penna in mano, tornando a rimaneggiare per la quarta volta la sua straordinaria raccolta di rime macaroniche. I confratelli ripongono con cura il suo materiale di lavoro, piangendo la perdita del loro festivissimus compagno che tanto li aveva rallegrati con la sua lepidissima Macaronea. Sono questi gli aggettivi che l’Abate generale di San Benedetto Po pone sul monumento funebre che presto viene commissionato in onore di dom Teofilo, in deroga alla Regola di San Benedetto, che non consente di dare segni distintivi alle sepolture dei monaci. Aveva fatto eccezione, a Santa Giustina di Padova, solo la tomba del grande riformatore dell’Ordine, Ludovico Barbo.
La decisione presa dai monaci di Campese ha perciò carattere di assoluta particolarità: oltretutto, il monumento e il corpo del Poeta vengono collocati nella cappella a destra dell’altar maggiore, in precedenza occupata verosimilmente dall’altare di un santo che ne era titolare chissà da quanti secoli!
La morte di Teofilo fa tornare a Campese il fratello Giambattista; egli vi aveva già soggiornato dal 1538 al 1539, mentre stava preparando i suoi monumentali Commentari ai Salmi, un’opera di novecento pagine che era stata stampata l’anno successivo a Basilea.
C’è in proposito una testimonianza, che è stata fatta pubblicare dallo stesso Giambattista in prefazione all’ultima redazione delle Macaronee merliniane: Vigaso Cocaio, nome fasullo sotto cui si cela forse Ludovico Domenichi, così racconta: “… perseverando… in così buono e securo stato, al fine d’una febre maligna infermato, rese l’anima al suo Fattore, la qual cosa udendo io, subito fui col suo fratello a ritrovar le molte carte da lui scritte. Trovammo, che per cagione di ricantare havea rifatta la Macaronea, come si può leggere tutta tramutata, e di gran lunga più dotta, faceta, e honesta della prima”.
In realtà, Teofilo stava riscrivendo le sue Macaronee per la quarta volta, ma la registrazione delle correzioni trovata dal fratello si era interrotta all’ottavo libro. Risultavano espurgati ben 382 versi.
Giambattista porta con sé il materiale conservato dai monaci a Venezia, affidandone la stampa agli eredi di Pietro Ravani. L’opera, oggi appunto nota come Vigaso Cocaio, uscì nel 1552 con il titolo di Merlini Cocalii Poetae Mantuani Macaronicorum Poemata e consta dei venticinque libri del Baldus, della Zanitonella, della Moscheide e degli Epigrammi. Due anni dopo si stampa una nuova, elegantissima edizione, che riporta un verso in più omesso in precedenza, per un totale di diciassettemilaseicentoquarantacinque versi. Ventisei bellissime xilografie di scuola veneziana ed eleganti capilettera ornati impreziosiscono l’edizione del ’52.
Testo di Otello Fabris da: “Il mondo di T.F.alias Merlin Cocai”, 2004
Le Opere di Teofilo Folengo
1517 – Liber Macaronices, Venezia, Alessandro Paganini, 1517.
Comprende il Baldus e due Egloghe. Questa edizione è nota come “Paganini” e può essere visionata sul sito gallica.bnf.fr (versione del 1520) oppure presso La Biblioteca di Don Quijote. Una ristampa anastatica è stata realizzata a Brescia, a cura dell’ASM nel 1991. Opera esaurita. Per la lettura delle Egloghe folenghiane della redazione “Paganini”, si consiglia di visitare il sito “Senecio“, all’indice della “Biblioteca di Don Quijote”, dove sono pubblicate a cura di Emilio Piccoli.
1521 – Opus Merlini Cocaii, Toscolano, Alessandro Paganini, 1521.
Comprende: Zanitonella, Baldus, Moscheide, Epigrammi. Edizione nota come “Toscolanense”. Ristampa anastatica disponibile presso info@teofilofolengo.org. Per la lettura del Libellus Epistolarum et Epigrammatum della Toscolanense, curato da Emilio Piccoli, vedi l’indice della “Biblioteca di Don Quijote” presso www.vicoacitillo.net
1526 – Orlandino, Venezia, Garanta, 1526.
Sull’infanzia del paladino Orlando. L’opera può essere visionata in: www.liberliber.it
1527 – Chaos del Triperuno, Venezia, Garanta, 1527.
Ristampa anastatica disponibile presso la Biblioteca Folenghiana.
Reperibile in rete: “Le opere maccheroniche di Merlin Cocaio”, a cura di Attilio Portioli, Mantova: Mondovi, 1889, vol.3. Teofilo Folengo: Opere Italiane, a cura di Umberto Renda, Scrittori d’Italia, Bari: Laterza, 1911, vol. 1.
1533- Humanita’ del Figliuol di Dio, Venezia, Aurelio Pincio, 1533.
Sulla nascita e la vita di Cristo.
L’edizione curata da Umberto Renda è leggibile su www.liberliber.it
1534 – Pomiliones, dialoghi composti con il fratello Giambattista.
E’ stata realizzta la ristampa anastatica dell’opera per giugno 2011, a cura degli Amici di Merlin Cocai.
Furono probabilmente stampati da Aurelio Pincio, assieme ai due titoli successivi, in un unico volume, nel 1534. L’originale – di cui sono note solo 15 copie – riporta l’indicazione: “In promontorio Minaervae, ardente Sirio, MDXXXIII”. L’esemplare utilizzato appartiene alla biblioteca del socio Roberto Stringa.
1534 Janus, poemetto sul tempo.
E’ stata realizzata la ristampa anastatica dell’opera, assieme a Pomiliones e Varium Poema, a cura degli Amici di Merlin Cocai nel settembre 2011.
1534 – Varium Poema, raccolta di vari componimenti, in collaborazione con Giambattista.
E’ stata realizzata la ristampa anastatica dell’opera nel settembre 2011, a cura degli Amici di Merlin Cocai, con una postfazione di Giorgio Bernardi Perini.
1534-38 (?)- Hagiomachia, diciannove vite di santi
1539 (?)- Macaronicorum Poema.
Con falso luogo di edizione il villaggio di Cipada ( presso l’editore inesistente Acquario Lodola), e perciò l’opera è nota con il nome di “Cipadense”. Contiene: Baldus, Zanitonella, Moschaea, Epigrammata.
Ristampa anastatica disponibile presso info@teofilofolengo.org.
Per la lettura della Moschaea della Cipadense , a cura di Emilio Piccoli, vedi l’indice della “Biblioteca di Don Quijote” presso www.vicoacitillo.net
1540 (?)- Atto della Pinta.
Sacra rappresentazione sulla Creazione del Mondo fino all’Annunciazione.
1540 (?)- Palermitana.
Poema sulla nascita e l’infanzia di Cristo.
1552- Merlini Cocai Poemata, Venezia, Eredi di Pietro Ravani e soci, 1552.
Edizione postuma, nota con il nome di “Vigaso Cocaio”.
Contiene Zanitonella, Baldus, Moscheidos, Epigrammata. E’ possibile la lettura in ipertesto in http://intratext.com/X/LAT0570.HTM oppure in: http://liberliber.it . L’autorevole edizione e traduzione di Mario Chiesa, UTET; anche nella sua edizione e traduzione per Les Belles lettres. Traduzione Di Mario Chiesa e Ann E. Mullaney, Harvard, I Tatti.
Ristampa anastatica disponibile presso il nostro sito: per informazioni a info@teofilofolengo.org
Altri titoli
La prima traduzione in francese del Baldus, del 1606, dal titolo Histoire macaronique de Merlin Cocaie, prototype de Rabelais è leggibile su gallica.bnf.fr.
Giacomo Filippo Tommasino, nel sec.XVII, riporta altri titoli di cui non si è trovata traccia: Il Libro della Gatta, Le Gratticcie, opere che sarebbero state scritte in macaronico, e fa cenno anche di altre opere in volgare e latino, che si dicono esistenti presso la Biblioteca di Giovanni Naudé, bibliotecario di Mazzarino, o presso la biblioteca del protomedico di Pavia Giovanni Ebuzio.
Fonte : PositanoNews.it