IL BOMBARDAMENTO DELLA “GIOVANNINA” Una tragedia dimenticata 1943-2023. Comune di Sorrento Commemorazione della strage perpetrata…
IL BOMBARDAMENTO DELLA “GIOVANNINA” Una tragedia dimenticata 1943-2023. Comune di Sorrento
Commemorazione della strage perpetrata dai nazisti nel ’43
VENERDÌ 24 novembre 2023 ore 17.30 Sala consiliare del Comune di Sorrento
Saluti:
Avv. Massimo Coppola Sindaco di Sorrento
Rossella Di Leva Consigliere Comunale di Sorrento
Intervengono:
Prof. Andrea d’Onofrio Docente di Storia Contemporanea Università Federico Il
Dott. Donato Sarno Dirigente del Settore Cultura – Eventi del Comune di Sorrento
Prof. Gennaro Galano Docente dell’Istituto Superiore “Francesco Grandi”
Ing. Carmine Sessa già Vicesindaco di Sorrento
MOMENTO DEDICATO ALLE SCUOLE
Illustrazione di Aldo Terminiello
Venerdì 24 novembre 2023, alle ore 11.00, si terrà un momento di riflessione e di approfondimento storico riservato alle scuole del territorio, dedicato alle vittime innocenti della motonave “Giovannina” – Sala Consiliare del Comune di Sorrento.
La redazione Cultura di Positanonews, offre una antologia degli scritti in merito alla vicenda della Giovannina tratta da una serie di volumi di letteratura sorrentina, di autori di prestigio che riportano interviste con i sopravvissuti, a dimostrazione che il contributo di sangue e anime ,dato dalla Penisola Sorrentina non è e non sarà mai dimenticato. Ho avuto l’opportunità di ascoltare questo drammatico racconto da Don Giovanni Aponte, che negli ultimi anni della sua vita amava frequentare i Cirillo vicini del mio negozio. Più che una tragedia dimenticata , è una tragedia commemorata!
Goffredo Acampora 1943
L’ l l Settembre del ’43 fu per la penisola il giorno più tragico fra quelli che seguirono la proclamazione dell’armistizio. Era un Sabato e nelle prime ore del pomeriggio la Giovannina, motobarca dei fratelli Aponte di S. Agnello, cadde sotto il tiro dell’artiglieria tedesca mentre, a due miglia dalla costa, navigava tra Torre Annunziata e Castellammare. In quella circostanza perirono forse trenta persone ma il numero esatto delle vittime non è stato mai del tutto certo in quanto non si è mai saputo quanti passeggeri realmente si fossero imbarcati a Napoli. L’intera vicenda presenta peraltro numerosi punti oscuri e lo stesso Croce, che ne fu spettatore oculare, anche se a distanza, la riportò nei seguenti termini: « . . . abbiamo assistito al cannoneggiamento che i tedeschi dalla Torre dell’Annunziata hanno fatto di un motoscafo che trasportava merci e passeggeri; e poi si è saputo che hanno dato morte a una decina di persone . . . »7. La complessa dinamica dell’episodio mi ha indotto ad una ricerca più accurata raccogliendo testimonianze fra quanti ancora sopravvivono e che, a vario titolo, furono protagonisti delle vicende di quel tragico pomeriggio. A tal fine, sono risultati di particolare interesse: i racconti del capitano Giuseppe Aponte, gravemente ferito, mentre era al timone della motobarca, di Michele Lauro, detto «è Zaccheo», marinaio sbandato, che tentava di ritornare a casa imbarcandosi sulla Giovannina, del corriere A. Cirillo, del dottor Gastone Sassi medico militare, presso l’ospedale italo-germanico di Quisisana, e del capitano Giovanni Aponte che da S. Agnello fu fra i primi soccorritori dei superstiti. La Giovannina era una tipica feluca sorrentina, di 14 tonnellate, dotata di motore e di una vela latina ausiliaria; varata nel 1902, nei cantieri della marina di Cassano ed adibita, all’epoca della nostra vicenda, al trasporto di passeggeri e merci sulla rotta Sorrento-Piano-Napoli e ritorno; imbarcava all’incirca duecento quintali di merci ed una sessantina di passeggeri fra cui i famosi «corrieri sorrentini», precursori dell’odierno recapito celere. Costoro, nei caratteristici abiti da marinaio, in tela grigia o blu, assicuravano i trasporti minuti fra Sorrento e Napoli fin da epoche 7 B. CROCE, op. cit. , p. 6.
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remote, come attestano anche gli atti della Cancelleria Angioina. Nelle loro capaci bisacce e panare portavano di tutto: lettere, documenti, plichi, preziosi, frutta, olio, latticini ed altro ancora: un lavoro di assoluta fiducia spesso tramandato da padre in figlio; passeggeri e marinai al tempo stesso, collaboravano nello stivare il carico, alla manovra e nel governo di vela e timone: il più anziano fungeva spesso da bigliettaio e da collettore di offerte «à nferta» in suffragio delle anime sante del purgatorio, cui era dedicata la chiesuola della marina di Cassano. Dai primi di settembre, solo la Giovannina e la “Principessa di Piemonte”, della SPAN, collegavano ogni giorno la penisola con Napoli in quanto le poche vetture tranviarie ancora funzionanti e la mancanza di automezzi e carburanti avevano reso saltuari i collegamenti via terra ostacolati ultimamente anche dalle agitazioni degli operai dei cantieri navali di Castellammare, come conferma il Mattino del 2 Settembre ’43, che riporta il ferimento di cinque operai e l’arresto di molti altri in occasione della repressione di una manifestazione sindacale. Con la proclamazione dell’armistizio dell’otto, i tedeschi bloccarono definitivamente la strada per presidiarne il tratto litoraneo, dai cantieri allo Scraio, in previsione di un eventuale sbarco alleato come quello già in atto sulla costiera amalfitana. Nonostante tali frangenti, la Giovannina proseguiva imperterrita nel suo quotidiano andirivieni e da quando la strada era occupata dai tedeschi, cercava di tenersi il più lontano possibile dalla costa ormai teatro di scontri che, particolarmente nei pressi e nella stessa città di Castellammare, avevano assunto notevole rilevanza per la presenza di obiettivi di estremo interesse. Infatti i cantieri e particolarmente gli stabilimenti per le produzioni alimentari, come dimostrarono i saccheggi che seguirono, erano ancora dotati di rilevanti scorte. Giuseppe Aponte ricorda che, fin dal giorno prima, il comandante del distaccamento di Massa aveva imposto agli armatori della Giovannina di assicurare al suo presidio il rifornimento delle vettovaglie ormai impedito dal bloc- pag 38 co delle strade. Fu così escogitato l’espediente di rimorchiare una lancia fino al porto di Castellammare e di riprenderla, al ritorno da Napoli, carica di quanto richiesto dai militari. E così la motobarca partì dalla marina di Cassano, trascinandosi dietro quella fatale barchetta che di lì a poco l’avrebbe perduta; giunta all’altezza del molo stabiese antistante la capitaneria, un marinaio saltò nella scialuppa ed a remi la sospinse verso l’attracco convenuto, mentre la motobarca riprendeva la navigazione verso il molo di Santa Lucia dove andava ad ormeggiarsi da quando, per le distruzioni causate dagli ultimi bombardamenti, era vietato, ai natanti civili, l’attracco della Immacolatella. Capitan Giuseppe ricorda che, già dal nove Settembre, in conseguenza dello sbarco alleato a Salerno, Napoli era presidiata dai tedeschi nei suoi punti strategici e si era stabilito un particolare clima di tensione che preannunziava l’imminente catastrofe. I rari passanti «sgattaiolavano» lungo i muri in un silenzio innaturale per una città come Napoli vivacizzata dal continuo via vai degli sfaccendati e dai richiami degli ambulanti; non circolavano più mezzi pubblici né privati e gli angoli delle strade erano presidiati dai blindati germanici che ormai controllavano l’intera città in un silenzio raggelante rotto solo da qualche cupa esplosione e dall’isolato crepitio di armi automatiche. Nei giorni successivi all’armistizio, i tedeschi, superata l’iniziale esitazione, erano passati all’occupazione del territorio e Napoli fu sicuramente la prima città italiana a cadere saldamente nelle loro mani, anche in considerazione dell’importanza strategica del suo porto e dell’apertura del nuovo fronte di Salerno. Mancavano ancora venti giorni alla sua liberazione ed alle epiche «quattro giornate» ed il Mattino dell’undici Settembre riportò: «Napoli è come una città assediata che manca di riserve e di viveri, manca anche di ogni mezzo igienico e totalmente e definitivamente di trasporti».
I corrieri furono i primi a rientrare a bordo trafelati e sgomenti per quanto avevano visto: alla spicciolata giunsero alcuni, sfollati e un gruppo di marinai sbandati, ancora in divisa, che spe- 39 ravano di sfuggìre alla cattura, rifugiandosi a Sorrento. L’aria che spirava e le notizie sempre più allarmanti che giungevano con i passeggeri, indussero i fratelli Aponte ad anticipare la partenza di un’ora anche perché dalla capitaneria era giunto l’ordine di navigare entro le due miglia dalla costa il che avrebbe allungato il percorso fino a Torre Annunziata. Mollato l’ormeggio, con oltre 100 passeggeri, 50 quintali di farina di grano e castagne, molle da letto e merce varia, la motobarca, come ricorda Michele «è Zaccheo», puntò prima su San Giovanni a Teduccio e da qui verso lo scoglio di Rovigliano, antistante Torre Annunziata. Appena doppiato questo, la Giovannina, incrociò il Sant’Antonio, motobarca militarizzata dei fratelli Savarese di Vico Equense, che navigava a tutta forza verso il largo. Giuseppe Aponte e Michele Lauro ricordano che da bordo avvertìrono di non avvicinarsi al porto che ormai, dopo aspri combattimenti, era caduto in mano tedesca. Notizie tanto allarmanti comportarono sicuramente esitazioni nel governo del natante al punto d’ingenerare sospetti nella innervosita difesa costiera germanica ed una prima granata esplose a pelo d’acqua cinquanta metri dietro la motobarca; dopo un minuto ne cadde una seconda cinquanta metri più avanti, era l’esplicito ordine, come sostiene Michele Lauro, di accostare ma da bordo non si diede ad intendere di volere ascoltarlo, anzi qualcuno ordinò “votta fora” (dirigi verso il largo). La mancata osservanza dell’intimazione ad accostare per farsi identificare o la presenza a bordo di militari in divisa, ingenerò nei tedeschi il sospetto che si trattasse di un natante nemico e giunse così una terza granata che, esplodendo a circa un metro dalla barca, provocò lo sfondamento della murata e di gran parte della poppa. Fu l’inizio della tragedia: per prima cosa lo spostamento d’aria, provocato dallo scoppio, scaraventò in mare una decina di passeggeri che avevano trovato posto nella camerella di poppa, mentre la motobarca, con il motore in avaria e crivellata di schegge, sbandata su di un fianco, iniziava una lenta rotazione, per essere caduto in mare anche il timoniere, Giuseppe Aponte, ferito
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ad un ginocchio. Fortunatamente qualcosa indusse i tedeschi a sospendere il fuoco ed il natante, a velocità ridotta, con un corriere al timone, tal Taturiello detto “antroccola”, andò ad arenarsi, quasi per abbrivio, sulla spiaggia di Pozzano. I pochi minuti, durante i quali si consumò la tragedia della Giovannina, li possiamo rivivere attraverso i ricordi di Giuseppe Aponte che governava il timone al momento dell’attacco: « .. .i colpi partivano da terra ed in breve urla strazianti si levarono da ogni parte. Mio zio Luigi, con il collo squarciato da una scheggia, perdeva sangue a fiotti e stava per cadere in mare, per l’improvviso sbandamento della barca, nello sporgermi per trattenerlo, avvertii un dolore fortissimo al ginocchio e caddi in mare, colpito a mia volta». Agli scaraventati in mare dall’esplosione, si unirono ben presto quelli che, nel timore che la barca stesse per affondare, tentarono di mettersi in salvo a nuoto e fra costoro vi fu Michele «è Zaccheo» che di questi attimi terribili conserva questi ricordi: « . . . debbo la mia vita all’unico bottone della mia mutanda militare. Sulla Giovannina mi ero disfatto dell’uniforme di marinaio per sfuggire all’eventuale cattura ed ero rimasto in mutande, ma l’indecenza di quell’indumento, resa ancora più imperdonabile, dalla presenza di numerose donne fra i passeggeri, mi indusse ad appartarmi per reindossare almeno i pantaloni; e tale circostanza rappresentò la mia salvezza in quanto mi consentì di allontanarmi, appena in tempo, dal punto dove esplose la terza granata che provocò la strage. Nonostante le urla dei feriti e lo sbandamento dell’imbarcazione, riuscii a trovare la presenza di spirito per lanciarmi in mare e puntare, nuotando con tutte le mie forze, verso lo Scraio che mi appariva il punto più vicino. Il mare era fortunatamente calmo e l’acqua era calda come è consuetudine, dalle nostre parti, in quella stagione, potei così soccorrere almeno sei naufraghi assicurandoli a dei relitti di legno e richiamare l’attenzione del Sant’Antonio che, incrociava nei paraggi nonostante fosse stato inquadrato, a sua volta, da una salva di ben sei granate, cadute fortunatamente in acqua. Cessato il cannoneggiamento, in quanto i tedeschi si erano resi con-
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to della nostra innocuità, anche io fui raccolto dal Sant’ Antonio che si diresse verso il porto di Castellammare dove intendeva sbarcarci. A circa cento metri dalla costa, preferii rituffarmi in mare in quanto, per essere un marinaio disertore, temevo di poter essere arrestato dai miei stessi camerati, ed anche perché volevo, con suprema incoscienza , recuperare il mio zaino che avevo lasciato sulla Giovannina, arenatasi nel frattempo sulla spiaggia di Pozzano. Raggiunsi la riva nei pressi della motobarca già piantonata da militari germanici che, con le armi spianate, m’ingiunsero di avvicinarmi per identificarmi: fortunatamente mi ritennero un civile e mi consentirono anche di cercare le mie cose sulla motobarca insieme ad altri, nel frattempo sopraggiunti. Salii così per l’ultima volta sulla barca e restai sconvolto alla vista del sangue e dei resti umani disseminati in prossimità del punto dove era esplosa la granata. Recuperato lo zaino,mi allontanai verso la strada alla ricerca di un mezzo che mi riportasse a Piano dove fortunosamente giunsi verso sera, con uno degli ultimi tram che riuscirono a circolare su quel tratto di strada». Mentre Michele «é Zaccheo» viveva la sua avventura, Giuseppe Aponte, stremato e sanguinante, raggiungeva la riva aggrappato ad un relitto e vi fu soccorso dal Dottor Sassi che, insieme a militari di sanità tedeschi, era accorso dal convalescenziario di Quisisana, da dove avevano assistito al tragico evento. Ricorda il Dottor Sassi che i tedeschi non trovavano giustificazioni per quanto era accaduto e si prodigarono generosamente nel prestare aiuto ai malcapitati. Quel presidio sanitario continuò ad operare fino al 28 Settembre quando i tedeschi, pressati dagli alleati, si ritirarono a Nord di Napoli ed il Dottor Sassi, autocongedandosi, se ne ritornò a piedi a Meta. La sventurata videnda della Giovannina, costò la vita almeno a trenta persone ma, come accennato, non è stato mai possibile accertare il reale numero delle vittime, sia per l’incerto numero dei passeggeri imbarcati, sia perché non è dato sapere quanti fra i feriti perirono successivamente. Ad ogni buon conto, di quanti s’imbarcarono a Napoli, per porsi in salvo a Sorrento, circa un terzo non vi giunse mai. In penisola, quella fu una tragica sera: appena diffusasi la notizia, in molti partirono per portare soccorso e fra questi il capitano Giovanni Aponte, detto «o luongo» il quale, accorrendo in bi- 42 cicletta, cadde rovinosamente nella discesa di Seiano procurandosi una ferita al cuoio capelluto della quale porta ancora il segno. fu comunque, fra i primi a prestare soccorso agli scampati e ad operare la ricognizione delle salme che avviò verso Sorrento con mezzi di fortuna. Si adoperò anche per il recupero della motobarca, trattando con le autorità germaniche, che, in quei giorni, occupavano militarmente Castellammare, operazione, che, come vedremo, sarà perfezionata appena qualche giorno dopo. In quanto ai feriti, ne furono presto gremite le infermerie di Vico, e Sorrento; in quella di S. Agnello fu ricoverato il capitano Giuseppe con il ginocchio gravemente leso dalla scheggia di granata e vi rimase, fra la vita e la morte, per diversi mesi affidato alle cure dei dottori Agostino Schisano, Silvio Trapani e Giacomo Gargiulo coadiuvati dalle benemerite suore tedesche di Santa Elisabetta. Il giorno successivo, il 1 2 Settembre, di Domenica, si svolsero i funerali delle vittime e grande commozione suscitò il passaggio delle bare affiancate dei vecchi Aponte uniti nella morte come insieme avevano trascorso la loro lunga esistenza sul mare. In quelle stesse ore si compiva a Castellammare l’ultimo atto della tragedia iniziata il giorno precedente. I tedeschi, ormai determinati nel proposito di occupare definitivamente la città, si scontrarono con i marinai della capitaneria che tentavano di opporsi alla demolizione ed al saccheggio del cantiere navale ove, fra le altre navi, era in allestimento l’incrociatore Giulio Germanico che nel dopoguerra, avrebbe preso il mare con il nome di San Marco; lo scontro fu durissimo e durò fi no a sera quando i marinai, sopraffatti dalle soverchianti forze tedesche, con alla testa il comandante furono passati per le armi con l’accusa di tradimento nei confronti dell ‘alleato. Una lapide, affissa all’ingresso della capitaneria di Castellammare, ricorda oggi quel triste episodio nei seguenti termini: «Alla memoria del Capitano di Corvetta Domenico Baffico M.O.V.M. caduto in questi pressi iJ 12-9-1943 sotto il piombo della barbarie nazista con un pugno di valorosi marinai nella difesa dei Cantieri Navali. 16-6-1979 Le Maestranze ltakantieri.»
La motobarca «Giovannina» mentre nel primo
po meriggio faceva ritorno da Portici, navigando
come d’obbligo, allora, entro 500 metri da terra,
all’altezza dei cantieri metallurgici di Castel lammare
subì un intenso, quanto ingiustificato, mitragliamento
ad ope ra dei tedeschi ancora asserragliati
in quella zona, non si sa se per un tragico
errore o per fredda determinazione. Il triste
bilancio fu di di ciannove morti accertati, e diciamo
accertati perché vari altri passeggeri si
lanciarono in mare in preda al panico e furono
selvaggiamente mi tragliati e uccisi. Non vi fu in
quella circostanza la possibilità di con tarli.
Al rientro a Cassano i morti a bordo erano 12,
mentre testimoni oculari affermavano di averne
visti almeno altri sette, tra i più conosciu ti,
scomparire in mare sotto il mitragliamento.
Tra i morti vi furono i due fratelli Aniello e Luigi
Aponte, espo nenti maggiori della ditta Aponte,
armatori della stessa «Giovannina».
Tra gli altri morti l’ingegner Francesco Marino
da Sorrento, titolare di una importante officina
di riparazioni nel porto di Napoli, certi Um berto
Di Leva da Sorrento, figlio del corriere Salvatore
soprannominato Terremoto, Arturo Cacace da
Meta e il corriere Raffaele De Martino che a bordo,
come vedremo più avanti, era addetto alla
questua. Ai funerali degli Aponte era presente
tutta la cittadinanza, addolorata e sdegnata al
tempo stesso per il vile attacco condotto contro
innocenti e pacifici lavoratori. Ancora oggi uno
degli Aponte, allora trentenne ca pitano di barche,
porta nelle carni i segni e le menomazioni
riportate in quella barbara azione. In quanto alla
«Giovannina», dopo un’esi stenza così attiva e
movimentata sotto le insegne degli Aponte, ancora
salda e forte, nel 1971 fu venduta a dei ponzesi
11.
Bruno balsamo la confraternita
La moto barca “Giovannina” mitragliata dai tedeschi
La seconda guerra mondiale risparmiò la nostra penisola sorrentina dai
bombardamenti e da altri fatti bellici ma non mancò di lasciare i suoi lutti per i numerosi
caduti sui campi di battaglia, nei bombardamenti e sul mare e per un episodio tanto
assurdo quanto inutile compiuto delle truppe tedesche in ritirata.
Era 1’11 settembre del1943, pochi giorni dopo la firma dell’armistizio.
Protagonista fu una moto barca sorrentina, la “Giovannina”, di proprietà degli Aponte, famiglia santanellese di antiche tradizioni marinare ed armatoriali 3•
L’episodio fu ricordato dal Comandante Mario Starita 4 e dal Professar Agostino Aversa, nel già citato libro “Il Piano di Sorrento e la sua Marineria”.
Il racconto degli avvenimenti che segue è stato fatto dal capitano Giuseppe Aponte,
nostro confratello, miracolosamente scampato a quel naufragio.
La “Giovannina” era partita nel primo pomeriggio di quel tragico giorno dal porto di Portici diretta prima a Castellammare e poi alla Marina di Cassano. Lo scalo nel porto stabiese era stato ordinato dalle autorità militari italiane per andarvi a prendere a rimorchio un’imbarcazione carica di viveri destinati alle truppe di stanza nelle batterie contraeree di 3 La “Giovannina” era una feluca varata alla Marina di Càssano di Piano di Sorrento nell’anno 1906. Il costruttore fu Francesco Aprea, (notizia ricevuta dall’armatore Giovanni Aponte). Venne successivamente dotata di motore, pur conservando per qualche tempo l’originaria attrezzatura velica quale ausilio alla navigazione. Aveva una Stazza Lorda di 17,5 Tonnellate.
Punta Campanella. Giunta all’imboccatura del porto di Castellammare, la “Giovannina” fu avvicinata da una motovedetta della Regia Marina italiana dalla quale venne l’ordine di soprassedere al rimorchio e di dirigere immediatamente su Sorrento a causa della minacciosa presenza delle truppe germaniche nella zona. Il capitano Aponte, al timone della barca, eseguì subito l’ordine ed invertì la rotta mettendo la prua verso il largo per maggior sicurezza, ma dopo poche centinaia di metri la “Giovannina” divenne bersaglio di un selvaggio ed accanito mitragliamento da parte di una postazione tedesca situata sulle pendici del Monte Faito, in una zona posta sopra la località denominata Pozzano.
Il racconto di Giuseppe Aponte è raccapricciante, la scena indescrivibile; in pochi attimi caddero Padron Aniello e Padron Luigi Aponte, capostipiti della Famiglia, l’ingegnere Francesco Marino di Sorrento titolare della omonima Officina navale del Porto di Napoli, il giovane Carlo Incudine di Sant’Agnello, Umberto Di Leva di Sorrento,
Arturo Cacace di Meta, il corriere Raffaele De Martino; altri passeggeri perirono in mare che ribolliva e si arrossava sotto i colpi dirompenti delle mitragliatrici.
Il mitragliamento durò alcuni minuti, poi giunse sulla zona un aereo militare Alleato che, accortosi della vile aggressione, si diresse verso le pendici del Faito, sventagliò alcune raffiche di mitraglia, poi si portò sul punto del naufragio, gettò in mare alcuni salvagente e si allontanò.
Sulla Giovannina, ormai alla deriva, restarono 11 o forse 12 vittime, sette naufraghi o forse più morirono in mare, altri riuscirono miracolosamente a salvarsi facendosi scudo a bordo con quanto era possibile o gettandosi in acqua e raggiungendo faticosamente a nuoto la spiaggia di Pazzano come fece Giuseppe Aponte, quantunque gravemente ferito.
Lì ebbero qualche soccorso; un soldato tedesco, piangente, tolse un pane dal suo zaino e lo diede al protagonista di questa testimonianza.
La barca con il suo doloroso carico fu lasciata al largo di Castellammare; vi restò all’ancora qualche giorno per poi essere rimorchiata con gozzi a remi alla Marina di Cassano dove si procedette al riconoscimento delle salme ed alla pietosa opera di recupero e sepoltura. I funerali di Padron Aniello e Luigi Aponte invece si fecero il giorno successivo al naufragio, con grande commozione e partecipazione di popolo.
Quel tragico avvenimento, che colpì profondamente tutta la popolazione della penisola sorrentina, non ebbe nel dopoguerra il dovuto ricordo, confuso tra gli altri mille fatti di guerra, ed il sacrificio di quei nostri concittadini, martiri innocenti di ritorno a casa dopo il lavoro o dopo un lungo viaggio tra mille pericoli, non è stato onorato come forse lo
sarebbe stato in altre parti del nostro Paese.
La nostra Confraternita intende porvi parziale rimedio e dare un suo contributo, ancorché modesto ma rientrante nei suoi compiti istituzionali, per ricordare ai posteri quei martiri caduti sul mare.
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Quel doloroso episodio, ove ancora ve ne fosse bisogno, induce a riflettere sulle cause e sulle ideologie perverse che determinarono quegli errori e quegli orrori in un momento come quello attuale in cui ombre sinistre e spettri del passato tornano minacciosamente ad aggirarsi tra di noi suscitando sentimenti oscuri: l’odio, l’egoismo, le discriminazioni di
razza, di religione e di luogo di nascita, i regionalismi e la conservazione di privilegi che offendono la dignità dell’uomo e la morale cristiana.
Ciro ferrigno Piano di Sorrento pagine di storia
La motobarca “Giovannina”, degli Aponte, parte nel primo pomeriggio dal porto di Portici diretta prima a Castellammare e poi alla Marina di Cassano. Lo scalo nel porto stabiese è stato ordinato dalle autorità militari italiane per andarvi a prendere a rimorchio un’imbarcazione carica di viveri destinati alle truppe di stanza nelle batterie contraeree di Punta Campanella. Giunta ali’ imboccatura del porto di Castellammare, la “Giovannina” è avvicinata da una motovedetta italiana, dalla
quale viene l’ordine di soprassedere al rimorchio e di dirigere immediatamente su Sorrento a causa della minacciosa presenza delle truppe tedesche nella zona. Il capitano Aponte, al timone della barca, esegue subito l’ordine ed inverte la rotta mettendo la prua verso il largo, ma dopo poche centinaia di metri la “Giovannina” diviene bersaglio di un selvaggio ed accanito mitragliamento da parte di una postazione tedesca situata a Pozzano. In pochi attimi cadono Aniello e Luigi Aponte, l ‘ingegnere Francesco Marino di Sorrento titolare della omonima Officina navale del pmto di Napoli, il giovane Carlo Incudine di San!’ Agnello, Umberto di Leva di Sorrento, Arturo Cacace di Meta, il corriere Raffaele De Martino; altri passeggeri muoiono nel mare che ribolle e si arrossa sotto i colpi delle mitragliatrici. Il mitragliamento dura alcuni minuti, poi giunge sulla zona un aereo militare Alleato che, accortosi dell’aggressione,
si dirige verso le pendici del Faito e sventaglia alcune raffiche di mitraglia,
poi si porta sul punto del naufragio, getta in mare alcuni salvagente e si allontana.
Sulla Giovannina, ormai alla deriva, restano 11 o forse 12 vittime, sette naufraghi o forse più muoiono in mare, altri riescono a salvarsi, raggiungendo a nuoto la spiaggia di Pozzano. La barca con il suo doloroso carico rimane al largo di Castellammare; vi resta ali’ ancora qualche giorno per poi essere rimorchiata alla Marina di Cassano dove si procede al riconoscimento delle salme ed alla pietosa opera di recupero e sepoltura.(96)
SIMON POCOCK
CAMPANIA 1943
Enciclopedia della Memoria
La qualità dell’informazione di cui era in possesso il senatore
Croce si evince dal fatto che, sebbene l’armistizio fosse stato firmato
in Sicilia il 3 settembre, e fosse stato tenuto in gran segreto fino all’annuncio ufficiale dell’8 settembre,” il suo diario reca, per il giorno 4
settembre, un chiaro riferimento al fatto che il filosofo sapesse esattamente
tutto sull’avvenimento. L’11 settembre, poi, Croce fu testimone
oculare del tragico affondamento della motobarca per passeggeri
Giovannina da parte dell’artiglieria tedesca appostata tra Castellammare
di Stabia e Torre Annunziata, con la perdita di una trentina
di vite umane. La barca, carica di merce e passeggeri provenienti da
Napoli, stava navigando sotto costa per la presenza delle mine nel
golfo di Napoli, alla volta di Sorrento.18
Un’altra imbarcazione, invece, la Principessa di Piemonte, proprietà
della SPAN,” riuscì a raggiungere Sorrento sotto il sapiente
comando di Marino Canale, prima di salpare per Capri, avendo
imbarcato parecchi di coloro che a Napoli non avevano trovato posto
a bordo della Giovannina.
SIMON POCOCK
CAMPANIA 1943
Enciclopedia della Memoria
VOLUME II
PROVINCIA DI NAPOLI
Viste le crescenti difficoltà che ormai ostruivano le comunicazioni
stradali fra la penisola e il resto della provincia,7 e oltre alle gallette
che venivano cotte dai Fratelli Irolla di Piano di Sorrento, i rifornimenti
alimentari per la guarnigione erano assicurati solo grazie ad un
accordo con gli armatori della motobarca traghetto Giovannina, che
rimorchiava una seconda imbarcazione, vuota, dall’approdo alla
Marina di Cassano nel territorio di Piano di Sorrento per lasciarla al
molo di Castellammare di Stabia davanti alla capitaneria; mentre la
Giovannina compiva il viaggio di andata e ritorno a Napoli, il traino
Op. Rep,
veniva ricaricato di viveri per essere poi riagganciato alla Giovannina
di ritomo verso Marina di Cassano.8
CENTRO DI STUDI E RICERCHE BARTOLOMMEO CAPASSO
LUCI DEL SUD Sorrento un set per Sofia
a cura di Giovanni Fiorenfino
Un accenno rapido vogliamo fare alle altrettanto
rapide sequenze di Nanni Loy in Made in ltaly girate
sulla via dello Scraio. Il noto regista ne Le quattro
giornate di Napoli accenna, in un breve passaggio,
al tragico mitragliamento della motobarca sorrentina
Giovannina avvenuto sotto Castellammare ad opera
dei tedeschi l’11 settembre 1943.
Sarebbe lunghissimo, anche se assai
La Marineria della Peniso[a Sorrentina
e la cantieristica in legno da Marina d’Equa a Marina Grande
Esempio di feluche nate a vela e poi motorizzate
furono la Giovannina di Aniello Aponte, costruita
nel 1902 e motorizzata nel 1940, e la Consolazione,
di Luigi Di Leva.
La prima costruita
ASSOCIAZIONE STUDI STORICI SORRENTINI
Franco Gargiulo
Piano di Sorrento
durante il periodo
della grande Sorrento
1927-1946
Tre giorni dopo l’armistizio, I’ 11 settembre, si verificò l’affondamento della motobarca “Giovannina”, degli armatori santanellesi Aponte, un avvenimento, questo, che destò sgomento e rabbia tra la popolazione, per l’inutilità dell’azione compiuta dai soldati tedeschi in ritirata, contro persone inerme che lavoravano.
L’imbarcazione era partita da Napoli, diretta al porto della Marina di Cassano.
Per ordine del Comando Alleato, al ritorno da Napoli, la motobarca doveva rimorchiare, a Castellammare, una lancia carica di viveri per i militari.
E fu a Castellammare, presso Pozzano, che una mitragliatrice tedesca appostata alle pendici del Faito, colpì l’imbarcazione causando numerose vittime, tutte della Penisola Sorrentina, oggetto di una crudeltà inutile.
Al rientro a Marina di Cassano, i morti a bordo erano 12, ed altre persone
scomparse in mare al momento del mitragliamento.
Ed il Comune di Sorrento volle essere in qualche modo vicino alle famiglie delle vittime, provvedendo ali’ acquisto delle bare per quelle appartenenti ai ceti più poveri.
Nel 1940 gli Aponte avviarono l’adeguamento alla motorizzazione dell’ultima feluca ancora a vela ,la Giovannina , dotandola di un motore da 50 cavalli di potenza , ma i lavori si conclusero solo nel 1942 a causa della guerra. All’inizio del secondo conflitto mondiale i fratelli Aponte armavano le motonavi Italia e sparviero e le motobarche Giovannina , Sant’Agnello e Aponte . Con la sciagurata avventura della guerra , la famiglia pagò un prezzo durissimo con la scomparsa di Padron Aniello e di Padron Luigi e il grave ferimento del nipote Giuseppe Aponte nel tragico avvenimento della Giovannina che fa attaccata dei tedeschi l’11 settembre del 1943. Oltre a quella dolorosa perdita si aggiunse anche l’affondamento della motonave Sparviero per speronamento all’imboccatura del porto di Napoli il 4 maggio del 1941 e alla perdita , dovuta alla guerra , del piroscafo Tullio il 15 giugno del 1943 e il danneggiamento e parziale affondamento della motonave Italia a causa del sabotaggio da parte dei tedeschi in ritirata alla fine del settembre del ‘43. Approfondiremo questi avvenimenti nel prossimo capitolo.
Notizie estratte dal libro “ Gli Aponte -un’antica famiglia marinara Sorrentina“
Di Bruno Balsamo
In foto la Motonave Italia nel porto di Capri negli anni’30
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Fonte : PositanoNews.it