In attesa della conferenza di domani della prof.ssa Renata De Lorenzo vi propongo spunti di…
In attesa della conferenza di domani della prof.ssa Renata De Lorenzo vi propongo spunti di riflessione. Per il Regno delle Due Sicilie non vi fu, dopo la sua caduta, una letteratura nostalgica di qualche rilievo. Se si toglie qualche opera storica, come quella del De Sivo, e qualche pamphlet dei primi anni dell’unità italiana, può ben dirsi che non vi sia altro. In letteratura e nelle arti, in particolare, l’eco della perduta, plurisecolare indipendenza del Mezzogiorno fu minima. Se una reazione in tal senso da parte meridionale vi fu, essa si tradusse e si concretizzò piuttosto nella letteratura antiparlamentare e antiromana che ben presto si sviluppò nell’Italia unita, come motivo di critica, spesso feroce, delle condizioni e dei modi della vita pubblica di questa nuova Italia piuttosto che come un rimpianto per la dinastia caduta e per la Napoli di prima del 1860. Il lealismo borbonico che nel Mezzogiorno si pretende così forte da aver suscitato col brigantaggio una vera e propria guerra di indipendenza, svanì rapidamente. Già alla fine del secolo XIX si era formato un nuovo lealismo, sabaudo questa volta, che attecchì tanto da manifestarsi fortissimo nel referendum istituzionale italiano del 1946, quando le immagini del re Umberto II e dei suoi familiari campeggiavano nelle piazze e nelle case, ultima espressione del profondo e radicato sentimento monarchico meridionale, tramontato lentamente solo dopo di allora. Contrapporre al mito così sorto e sviluppatosi intorno alla storia del Regno delle Due Sicilie una raffigurazione più rispondente a una realtà credibile di tale storia è ciò che hanno fatto e fanno molti studiosi italiani e stranieri. Per la storia del Regno la rivendicazione dei numerosi “primati” attribuiti al Mezzogiorno pre-unitario, a parte la specifica fondatezza e natura di ciascuno di tali primati, vale ben poco a rovesciare, o solo a minimamente modificare, il giudizio complessivo sullo sviluppo del Regno, che in base a tutti i principali indicatori statistici disponibili alla data del 1860 rimaneva, nel quadro europeo, assai basso. Incredibile del tutto è la rivendicazione del Regno come potenza industriale, addirittura terza dopo Inghilterra e Francia: il che è ancor più incredibile in quanto su questo piano era l’intera Italia a ritrovarsi arretrata. La dotazione di infrastrutture era bassissima sia per quelle materiali (tipico il caso delle ferrovie) che per quelle relative alla diffusione dell’istruzione e per le attività di ricerca scientifica. Il basso livello della tassazione, i conti dello Stato in ordine, la forte riserva del tesoro e l’alto valore della moneta appaiono certamente fondati, ma che tutti questi fossero fattori di sviluppi in atto non appare da nessuna parte. Al contrario, emerge sempre che, per l’uno o per l’altro aspetto, alcuni di essi giovassero, semmai, non favorevolmente, alle esigenze dello sviluppo. Si aggiunga la scarsissima diffusione di servizi bancari e finanziari, e si spiegherà meglio come, malgrado l’alta protezione doganale, di un processo di sviluppo non si scorgessero nel Mezzogiorno pre-unitario che elementi puramente potenziali, come, del resto, gli stessi scrittori napoletani dell’epoca dicono. Le differenze fra Nord e Sud si sarebbero determinate soltanto dopo il 1861, e già un ventennio dopo avrebbero cominciato ad essere di un qualche rilievo. Appare poco verosimile lo spazio di un ventennio per determinare l’avvio di un processo dualistico così consistente come quello che ha finito col caratterizzare il rapporto fra il Nord e il Sud del paese; soprattutto, poi, appare trascurato in una tale prospettiva un dato sicuro e inconfutabile della storia economica dell’Italia unita, e cioè che lo sviluppo industriale e moderno del paese ha avuto a lungo limitazioni territoriali assai forti, avendo investito soprattutto il celebre “triangolo” Milano-Torino-Genova. E tutta questa permanenza dualistica si sarebbe avviata irreversibilmente nel primo ventennio dell’unità? Una base dualistica deve essere pur presupposta nel paese al momento dell’unità, congiunta a caratteri strutturali del Mezzogiorno, che il corso della storia posteriore non è valso a sciogliere, ed è per questo motivo che nello studio dei problemi del Mezzogiorno è soprattutto dal Mezzogiorno che si deve partire ed è ad esso, anche oggi, che si deve arrivare[1].
Aniello Clemente
[1] Cf. Giuseppe Galasso, Il Regno delle Due Sicilie tra mito e realtà, in Accademia Nazionale dei Lincei – Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Mezzogiorno, Risorgimento, Unità d’Italia, Atti del convegno, 18, 19 e 20 maggio 2011, Roma, a cura di Giuseppe Galasso, 17-23, qui 19-20.
Fonte : PositanoNews.it