Spesse volte in questi anni ho partecipato alla Messa in suffragio delle vittime che si svolge nella chiesa di San Giuseppe a Sant’Agnello; fui presente anche all’inaugurazione della lapide, situata proprio di fronte al “loro mare” in quel di Meta di Sorrento; allora un marinaio spagnolo della Guardia Costiera di quel paese rinnovò, tra la commozione generale, il suo personale ricordo di quelle tragiche ore.
Quest’anno voglio ricordare il sacrificio di quei marinai, riportando alla luce un altro naufragio quello della “Giacinto Motta”, fortunatamente conclusosi però con la salvezza dell’intero equipaggio, anche in quella occasione a bordo vi era un nostro conterraneo Antonio Attanasio di Sorrento, 38 anni, abitante a Meta.
Ma andiamo con ordine, era il 25 luglio 1967, quando la nave italiana, in rotta da Antwerp a Montreal con un carico di macchinari, nei pressi di Halifax, nella Nuova Scozia (in posizione Lat = 51°.58 Nord – Long = 55°.36 West), fu speronata dalla petroliera liberiana “World Mermaid”, appartenente alla “Penelope Shipping Company”, una nave di 17.598 tonnellate rimasta a galla dopo l’urto, non avendo riportato gravi danni, la sorte della “Giacinto Motta” fu invece segnata.
I naviganti conoscono bene quella zona, poiché spesso masse di aria fredda provenienti dal polo Nord si scontrano con quelle calde dei tropici dando luogo a banchi di nebbia molto fitta, i famosi “banchi di Terranova”; da quelle parti, esattamente 21 anni prima il 25 luglio 1956 si verificò la collisione tra l’Andrea Doria e la nave svedese “Stockholm”, proprio a seguito di questa ed altre collisioni, furono successivamente emanate le Norme internazionali per evitare gli abbordi in mare (COLREG) nel 1972.
La “Giacinto Motta” era stata costruita presso i cantieri Ansaldo del Muggiano della Spezia nel 1956, era lunga 162 metri e larga 21, stazzava 11.267 tonnellate, di proprietà dell’Armatore Bibolini, fu una delle sei navi che costituivano la serie “Capitani del lavoro”: oltre ad essa furono infatti costruite, la “Carlo Canepa”, la “Oscar Sinigaglia”, la “Guido Demenicani”, “Giovanni Agnelli” e la “Giovanni Ansaldo”, ed apparteneva alla Compagnia di Navigazione palermitana “CarboGas”.
L’Armatore Bibolini Il cav. Giacinto Motta
Subito dopo la collisione, le due navi, via radio, quasi contemporaneamente avevano chiesto aiuto, pertanto un aereo della Royal Canadian Air Force ed una nave della Guardia Costiera la “Sir Humphrey Giulbert” di base a Summerside sull’isola Principe Eduardo, erano partiti immediatamente alla volta del punto dell’incidente; le ricerche dei naufraghi si erano da subito presentate molto difficili a causa della nebbia, del maltempo e del fumo proveniente da ampie foreste del Labrador, in fiamme da giorni, sulla scena successivamente presente anche l’Unità Costiera americana “Sebago” di base a Goose Bay nel Labrador; la nave petroliera riparò ad ovest di Belle Isle, mentre l’equipaggio della “Giacinto Motta”, calate a mare le scialuppe di salvataggio riparò su una piccola isola a 15 miglia dal luogo dell’affondamento della nave.
L’ultimo messaggio ricevuto dalla Società armatrice, riguardava l’avvenuta partenza della “Giacinto Motta” da Anversa alle 19.30 del 15 luglio, diretta verso l’estuario del fiume San Lorenzo in Canadà.
Al Comando dei trenta membri dell’equipaggio più tre passeggeri, Giuseppe Belcastro di 42 anni, nato a Fiume, ma residente a Napoli, molti marinai provenivano dal compartimento di Torre del Greco o dal Meridione d’Italia, tra i quali il nostro conterraneo già citato.
Interessante anche quanto si legge nel sito www.bagnirosita.it , che racconta di come nonno Giovanni (Bausone, di Savona), quella mattina del 25 luglio 1967, avesse ascoltato alla radio, con inquietudine le tragiche vicende della “Giacinto Motta” che conosceva bene, avendo navigato per molti anni con quella Compagnia di Navigazione, la sera egli andò a dormire preoccupato, conosceva benissimo molti di quei marinai e grande fu la sua gioia quando al mattino, il primo notiziario diffuse la notizia del loro ritrovamento, sani salvi su un isoletta canadese.
Infatti i naufraghi dopo otto ore trascorse sulle scialuppe di salvataggio, ripararono sull’isola di Camp Island, da dove furono tratti in salvo, tutti incolumi, dai soccorritori; il mare quella volta si rilevò benevolo.
Luigi Russo
Fonti:
Quotidiano La Stampa
Quotidiano Il Corriere della Sera
Video 29 dic 2015
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