Intervista di Maurizio Vitiello – Risponde alle domande Maria Luisa Bigai, docente ordinario per le Discipline Teatrali al Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli.
Si è formata in Recitazione e Regia all’Accademia Nazionale d’ Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, allieva, attrice e a lungo assistente di Andrea Camilleri. Un’intensa propensione per il Sud la porta a lavorare fra Sicilia e Calabria e ora stabilmente a Napoli. Un’ inesausta curiosità per la Vita la spinge a viaggi di lavoro e studio personale nei più disparati Paesi del Mondo (Stati Uniti, Brasile, Argentina, Cipro, Francia, Portogallo, Norvegia, Olanda, Danimarca e molti altri!) e a un’instancabile ricerca nelle Arti. Recita, dirige, progetta, organizza, scrive, coordina, concerta. Promuove, da anni, iniziative riguardanti Teatro, Poesia, Cinema, soprattutto, in relazione al loro incontro con la Musica. Si occupa di formazione in molti ambiti e dal 2000 è docente di Arte Scenica nei Conservatori di Musica di Stato e dal 2014 è docente ordinario per le Discipline Teatrali al Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli. Ha ricevuto premi teatrali e per la scrittura, fra cui il Premio Montale per la silloge False Partenze, edizioni Scheiwiller (Mi). Ha pubblicato poesie e saggi brevi su edizioni sparse.
MV) Può parlarci del suo interesse verso il mondo del teatro e della musica? Quando è iniziato?
MLB) Sono attratta da sempre dal teatro e dalla musica. Sin da bambina organizzavo piccoli spettacoli con altri compagni o con burattini. La scelta di occuparmi di teatro a tempo pieno è maturata lentamente e si è compiuta nell’anno dell’esame di maturità. Quando terminai il liceo ebbi chiaro che desideravo occuparmi di teatro musica e arte a tempo pieno, per quanto fosse una via ardua.
MV) Ha sempre guardato alla volontà di esportare le sue operazioni teatrali anche in Europa?
MLB) Sì. Da questo punto di vista la musica, il teatro musicale e la tradizione della Commedia dell’Arte agevolano scambi internazionali, laddove il teatro di prosa in senso stretto subisce il limite della lingua straniera. Al Caffè La Mama di New York una mia regia ha avuto notevole successo egualmente, ma abbiamo dovuto adottare le soprascritte (come si fa ormai di consueto al teatro dell’Opera) e questo ha comportato uno sbilanciamento dei tempi scenici, perché il pubblico reagiva in ritardo, dopo avere letto le battute e collegato quello che leggeva alla situazione scenica.
MV) Può raccontarci delle sue azioni e delle sue operazioni a favore di un teatro più snello e moderno?
MLB) Come regista sono molto interessata al teatro che trova spazio in luoghi non convenzionalmente teatrali. Tale ricerca per quanto mi concerne è iniziata per portare lo spettatore a guardare lo spettacolo con sguardo ‘risvegliato’. In questi anni si può dire che mi sono specializzata nella messinscena in spazi architettonici non convenzionalmente teatrali: chiostri, fontane barocche, giardini, quartieri medievali e centri storici, dove costruire una
codificazione specifica per i miei spettacoli, creando un corto-circuito dall’interazione fra lo spettacolo, lo spazio e lo spettatore. Un altro aspetto che m’interessa è la centralità del corpo dell’interprete. I miei studi di-e-sulla Commedia dell’Arte sono per me molto importanti. Una base grammaticale per la scena molto forte. La lunga esperienza dei teatranti a partire dagli spazi all’aperto ha nei secoli prodotto una base grammaticale per la scena molto forte ed
espressiva, pronta a dare spunti utili ai linguaggi più contemporanei. Mi interessa molto anche il rapporto fra testo e musica. Come interprete mi dedico da tempo al Melologo e ai repertori che vedono la parola danzare nel suono e danno la possibilità di creare grandissimo teatro anche in spazi da concerto esigui. Recentemente l’esperienza di rappresentare Histoire du Soldat di Strawinskji presso la Reggia di Capodimonte, interpretando da sola tutti i personaggi, credo che sia un esempio chiaro di lettura tutta in chiave novecentesca di un capolavoro che al suo primo apparire era stato pensato per vari interpreti e con tanto di danzatori, assecondando una modalità ancora tradizionale e post-ottocentesca di intendere lo spettacolo. L’interprete da
solo – stilizzato e stilizzante- come troveremo in splendide opere di Satie e di Schönberg, non era originariamente previsto per Histoire.
MV) Crede che ci siano delle città italiane e/o straniere più attente a nuove versioni teatrali e a nuovi versanti di codici teatrali?
MLB) Credo che al momento la città più attivamente teatrale in Italia, con maggiore respiro e scambio internazionale sia Milano. Napoli, però, sta a sua volta vivendo un momento molto interessante, pieno di spunti e fermenti, forse più a livello variamente musicale che strettamente teatrale, ma la musica va sempre più veloce del teatro. In generale – per la mia esperienza – le capitali europee – ed internazionali – sono più aperte alla ricerca e al nuovo, rispetto all’Italia. Duole dirlo, ma Roma in questo periodo giace in un sopore affaticato da così tanti problemi che quando vi arrivano eventi di un certo interesse risulta talmente faticoso raggiungerli o riuscire a fruirne che è come se tali eventi non apparissero alla città, ma solo a una stretta cerchia. Così la cultura non cresce.
MV) La regia quanto è importante nella resa dell’idea del soggetto teatrale?
MLB) La regia dovrebbe essere fondamentale per la resa di un soggetto teatrale. Intendo la regia come strumento atto specificamente a questo, progettato per questo. La regia nel novecento nasce proprio come ’lente’ per la messa a fuoco dello sguardo dello spettatore rispetto alle interpretazioni possibili di un testo. La regia si presta – si dovrebbe prestare – alla decodificazione di un soggetto nel senso più profondo del termine, e alla ricodificazione nello specifico contesto di un dato spettacolo. Naturalmente, questa lente funziona se la regia non sia ’strabica’ come sempre più spesso accade in Italia, di questi tempi. Non poche sono le persone che scambiano regia con messinscena e messinscena con accozzaglia di segni. In tal senso una messinscena può addirittura risultare sviante rispetto alla comprensione di un testo. Ma non si tratta appunto di regia.
MV) Ci sono differenti dinamiche nella conduzione registica degli ambienti e delle movimentazioni?
MLB) Se per conduzione della regia degli ambienti e delle movimentazioni intendiamo: scene, costumi, movimenti di scena, coreografie, interventi video, luci di scena e quant’altro si veda e si senta in scena, sì, l’interazione della regia con questi aspetti è molto variabile: dipende dalla competenza del regista nei campi specifici e dalla sua capacità di progettazione e dialogo con i rispettivi artisti e collaboratori. Dipende anche dalla competenza di questi ultimi. Si crea un dialogo che deve portare a far convergere idee ed energie verso lo spettacolo che la regia progetta. Come ogni dialogo dipende molto da chi interagisce con chi. Ci sono registi che amano progettare ogni dettaglio del proprio spettacolo. A volte è necessario che il regista risolva aspetti specifici, luci, scene, costumi, perché ha collaboratori poco esperti o perché – in certe produzioni contemporanee sempre meno supportate economicamente – certe competenze non vengono proprio calcolate nella produzione. Io amo interagire con artisti competenti nel loro ambito specifico. La mia preparazione e chiarezza di progetto sarà quello che permetterà a ognuno di dare il miglior apporto nel proprio campo specifico, a volte anche in maniera sorprendente per il regista e l‘artista stesso. La vera ricerca non di rado sorprende. Alla regia sta chiedere a ciascuno un lavoro che converga a creare una lettura chiara e profonda del testo attraverso lo spettacolo.
MV) Quanto è importante l’insieme, la compattezza, l’ordine in uno spettacolo?
MLB) Pensando alla regia recentemente mi è venuta in mente la raccolta differenziata. Solo se dietro c’è un progetto chiaro ci troviamo di fronte a legno, carta, vetro, metalli o materiale organico atto a fertilizzare etc; altrimenti, nell’accozzaglia indiscriminata ci troviamo davanti alla raccolta indifferenziata, che ammassa assieme anche materiali di specifica altissima
qualità, quadri a olio barocchi, video che ritraggono immagini a caso, pesche marce, oggetti disparati ma sparsi senza senso, attori eccellenti ma allo sbaraglio che recitano ognuno secondo codici e riferimenti diversi, mal intonati, messi tutti gli ingredienti uno sull’altro come se fosse, appunto spazzatura, perché non c’è lettura, non c’è progetto.
MV) Può raccontarci qualche inedito aneddoto?
MLB) Andrea Camilleri ha scritto più di qualche volta che l’apice della sua attività come regista la raggiunse con lo spettacolo ‘Il Trucco e l’Anima’ su Majakovskij e i poeti delle avanguardie russe. In quello spettacolo io ero una delle protagoniste e interpretavo Maria (v. il Flauto di Vertebre di Majakovskij). Lo spettacolo non prevedeva scenografia se non un quadro svedese
attaccato in fondo al teatro e i nostri corpi che variamente si combinavano nello spazio della scena vuota. Per farlo venne coinvolto un grandissimo maestro delle discipline fisiche: Hal Yamanouchi. Questo magnifico artista giapponese, attore, mimo, danzatore, maestro di arti marziali, ci aiutò infinitamente: 1. A non farci male 2. A reggere allenamenti incredibili e la stanchezza di prove di teatro massacranti nel teatrino dell’accademia, gelido, che iniziavano alle 10 del mattino e duravano ininterrottamente fino a mezzanotte, con prove fisiche di notevole difficoltà. 3 A ideare movimenti di scena meravigliosi che dessero vita teatrale alle visioni che Andrea traeva dalla lettura dei poemi futuristi russi, in una sorte di circo futurista dei poeti. Un giorno Andrea stabilì che il mio personaggio, Maria, dovesse essere una farfalla, volare e venire trattenuta per un filo immaginario, anelata da Majakowskij. La Maria/farfalla sgusciava fuori dalle tute biomeccaniche sovietiche indossate da tutti gli attori e appariva vestita di una sottilissima tutina color carne, alla quale veniva applicata una farfalla al centro del petto. Poi, per realizzare in forma dinamica questa visione, Camilleri chiese ad Hal di costruire una piramide umana, pacatamente e come fosse una cosa assolutamente normale. Hal ci pensò un momento e, poi, riuscì a far posizionare vari colleghi attori in una forma a piramide degna di acrobati del circo. A quel punto, serenamente, mi chiese di scalare la piramide e Hal mi segnalò dove appoggiare i piedi e come arrampicarmi sui corpi dei miei compagni in modo che nessuno di noi si facesse male. Ed eccomi in cima, farfalla palpitante. Andrea stava in fondo alla platea e a quel punto, pacatamente, disse ‘Bene e ora vola’. Io, che ho sempre sofferto di vertigini, trasecolai: volare?! Come?! Nessuno osava mai contraddire Andrea regista: la sua autorevolezza metteva totalmente in soggezione. Ma volare … come? Mentre tutti stavano col fiato sospeso, io rimasi sospesa a mezz’aria coi miei colleghi che mi tenevano i piedi in un silenzio smarrito. Andrea, totalmente rapito dalle sue visioni letteralmente ruggì: ’Vola cazzo, volaaaa!!!!!’ Ed io, che potevo più fare? Spiccai il volo lanciandomi nel vuoto come un atto di fede, saltando giù con la maggior grazia possibile e recuperando con falsa disinvoltura una posizione aggraziata dopo il tonfo bestiale che produsse il palcoscenico, mentre Majakowskij mi inseguiva e io restavo sospesa a un filo immaginario. Applausi. Ma se non mi ruppi niente credo sia dovuto proprio al livello atletico che Hal ci aveva fatto raggiungere più che alla poesia della visione.
MV) Quali i suoi spettacoli più riusciti?
MLB) Ho ricevuto vari riconoscimenti per il mio lavoro, prima di attrice e poi di regista. Il premio Fondi per uno spettacolo da un testo inedito di Dacia Maraini, per esempio. Sono stata anche inserita nel libro di J.J. Jenkins dei 100 migliori spettacoli dell‘anno a New York. Ma lo spettacolo che ho potuto perfezionare e curare maggiormente è Clitennestra di Marguerite Yourcenar, nella traduzione di Maria Luisa Spaziani, con Anita Bartolucci, una drammaturgia luci creata appositamente con Marco Catalucci e lo splendido lavoro musicale e di contrappunti sonori di Alessandro Molinari. Questo spettacolo lo abbiamo presentato in vari contesti molto interessanti e stagioni prestigiose, fra cui Il Teatro Stabile di Torino, il Piccolo Eliseo a Roma e la stagione di prosa di Radio3. Lo abbiamo presentato anche al Ridotto del Teatro Mercadante di Napoli nel 2012 con accoglienza bellissima di pubblico e critica. Fiore, il critico de “Il Mattino” di Napoli ha reiteratamente detto che lo ha trovato uno dei più bei spettacoli che avesse visto negli ultimi anni (e mi chiedo se sia anche per questo che il Teatro di Napoli non ce l’ha ancora pagato).
MV) Napoli che cosa dà? che cosa toglie? che cosa darà sempre? che cosa non darà mai?
MLB) A Napoli lavoro in un luogo meraviglioso e prestigioso, significativo per la città e per la dimensione della città nel mondo: il Conservatorio San Pietro a Majella. Qui ho avuto la possibilità di esplorare e approfondire la Scuola Napoletana e la sua Opera Buffa. Così, ho potuto verificare che uno dei maggiori drammaturghi autore dei libretti per l’Opera Buffa napoletana, per paradosso è stato Carlo Goldoni. E così, io con le mie origini nordiche e veneziane, mi sono sentita a casa, col mio teatro che sa di maschere e intriso della grammatica scenica che dalle maschere prese il via. Napoli mi travolge con la sua ricchezza inesauribile di spunti e fermenti ed enzimi, colla sua cultura plurisecolare e pluristratificata, con la sua energia tellurica da vulcano silenzioso, col coacervo di talenti splendidi e vitali con i quali ho la possibilità di interagire, al Conservatorio, all’Accademia di Belle Arti, per le strade i teatri, le piazze. A Napoli non accade mai una cosa sola alla volta, tutto è sempre intrecciato e sovrapposto e questo dà un’ebbrezza che ‘ntender no la po’ chi no la prova’. Cosa mi ha tolto Napoli? Se continua così … la mia invidiabile linea di ex-atleta: Napoli prende per il cuore ma anche per la Gola!
MV) Cosa è per MLB il teatro? un mezzo un fine (estetico)?
MLB) Per me il teatro è un gradissimo e potentissimo mezzo di comunicazione, formazione ed educazione. Lo pensavano anche gli antichi greci, che il teatro se lo sono inventato ed era per loro una grande forma di educazione della città a partire dalla potenza di certi riti sacri (che all’epoca di Eschilo, Sofocle, Euripide già erano tracce mitiche usate per raccontare altro,
qualcosa di profondo e a volte segreto dell’individuo e della città, ma anche qualcosa di civile, di storico, di progressione della civiltà ateniese in senso democratico). Il teatro è un mezzo potente per agire sulla contemporaneità a partire da profondità a volte anche oscure che parlano a livello sottile. Ed è in questo senso che mi sono sempre più orientata al teatro in senso pedagogico. Pedagogia del teatro, col teatro, attraverso il teatro. Forme diverse di educazione della città, attraverso l’educazione del cittadino. Insegno in Conservatorio e aiuto i cuccioli di artista a sognare l’arte e a sperimentarla, come i gatti col gomitolo diventano grandi cacciatori. Non sempre occorrono mezzi mastodontici per riuscire a far passeggiare ‘i fantasmi scenici’ fra le quinte … d’altronde Ennio Flaiano amava dire ‘fare teatro è cercare nel buio qualcosa che non esiste … e trovarlo”.
L’articolo Intervista a Maria Luisa Bigai, maieuta e regista, a cura di Maurizio Vitiello. proviene da Positano News.