Sabato 10 novembre ore 10.00 sala degli Specchi Museo Correale Paolo Itri Nato a Napoli…
Sabato 10 novembre ore 10.00 sala degli Specchi Museo Correale
Paolo Itri Nato a Napoli nel 1965, è entrato in magistratura nel 1991. Dal 2002 al 2011 ha fatto parte della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, occupandosi di importanti indagini sulla camorra napoletana e su Cosa Nostra. Tra il giugno 2011 e il novembre 2015 è stato ispettore generale del Ministero della Giustizia. Nel 2017 ha svolto le funzioni di procuratore della Repubblica a Vallo della Lucania, dove è attualmente pubblico ministero.
Il Monolite. Storie di camorra di un giudice antimafia. Il Palazzo di Giustizia napoletano è il più grande d’Italia, e probabilmente del mondo. Dopo anni trascorsi tra le sue mura, per il giudice Paolo Itri l’impressione è ancora quella di trovarsi di fronte al «monolite» di 2001. Odissea nello spazio. Un caos labirintico in cui ogni giorno si scrivono nuove pagine della tragedia e della commedia umana, un avamposto da cui Itri, con gli altri magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha condotto per lungo tempo la tormentata battaglia dello Stato contro la camorra e la corruzione.
Il monolite ricostruisce decenni di affari criminali, omicidi, tradimenti e arresti: la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, i Bardellino e i Nuvoletta, i temuti casalesi «Sandokan» Schiavone e Bidognetti, per arrivare ai clan feroci e misconosciuti di città ad alta densità mafiosa come Mondragone, Sant’Antimo o Giugliano. Nonostante le faide e l’azione della magistratura, boss e affiliati «sembrano riprodursi come formiche», trovando sempre il modo di stringere e poi sciogliere nel sangue nuove e vecchie alleanze.
Paolo Itri porta alla luce con sensibilità e passione, oltre che una punta di ironia, i drammi e le speranze tradite di una terra devastata dalla camorra, in cui la macchina della giustizia arranca, appesantita da contraddizioni e ipocrisie, ma anche, talvolta, da incomprensibili inefficienze e veleni interni. E tra le indagini di una carriera in prima linea spicca quella sul Rapido 904 del 1984, una strage che sembra anticipare la successiva strategia terroristica di Cosa Nostra, una prima “trattativa” a suon di bombe nella quale potrebbero aver avuto un ruolo anche esponenti della camorra e della banda della Magliana.
intervista tratta da La Repubblica
Ventotto anni di lotta alla camorra, affari criminali, omicidi e arresti: i processi che hanno infiammato il tribunale di Napoli raccontati nel libro “Il monolite” dal giudice Paolo Itri, per anni alla direzione distrettuale antimafia di Napoli. Nato a Napoli nel 1965, è entrato in magistratura nel 1991. E’ stato pm alla procura di Nola, poi è passato alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, occupandosi di importanti indagini sulla camorra napoletana e su Cosa Nostra. Nel 2008 da pm ha ottenuto la condanna all’ergastolo per Totò Riina, riconosciuto come mandante di cinque omicidi avvenuti nella tenuto dei Nuvoletta a Marano. Tra il giugno 2011 e il novembre 2015 è stato ispettore generale del Ministero della Giustizia. E nel 2017 ha svolto le funzioni di procuratore della Repubblica a Vallo della Lucania, dove è attualmente pubblico ministero.
Come nasce l’dea di scrivere un libro?
“Nasce da una esigenza interiore, per fare il punto della situazione dopo 28 anni trascorsi in magistratura. Un’opera di natura autobiografica dove racconto storie di camorra ma anche vicende collaterali, che a volte possono apparire banali, ma che danno l’idea di quella che è la vita di un magistrato”.
Perché “Il Monolite”?
“Perché il Palazzo di Giustizia di Napoli mi ha sempre dato l’impressione di somigliare ad un “monolite”. La scelta di questo titolo è stata dettata anche da qualcosa di interiore, un modo per collegare il palazzo, le istituzioni e il ruolo degli inquirenti ad una dimensione un po’ metafisica , ad una dimensione dell’anima”.
Il monolite ricostruisce decenni di affari criminali…
“Si, dalla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, ai Bardellino, ai Nuvoletta, fino ai temuti casalesi «Sandokan» Schiavone e Bidognetti. Ma anche le storie di clan feroci e misconosciuti di città ad alta densità mafiosa come Mondragone, Sant’Antimo o Giugliano”.
L’episodio che più l’ha colpita?
“Non trascorre giorno in cui non pensi alla tragedia del Rapido 904. Un vicenda misteriosa, fortemente collegata alle stragi del 1992 e 1993. Una storia che nasconde tanti interrogativi e che ancora oggi mi attanaglia”.
Ha interrogato tanti camorristi, qualcuno chiedeva esplicitamente di parlare con lei…
“Si, è capitato. Con ognuno di loro ho istaurato un rapporto di dialogo”.
Anche di fiducia?
“Il pentito deve avere fiducia nel magistrato, sia dal punto di vista umano che professionale, non è vero l’inverso. Il magistrato non deve fidarsi in generale di nessuno, ma in particolar modo di un pentito. Bisogna sempre verificare ogni cosa. Dialogo si, fiducia no”.
E necessario calarsi nella loro realtà…
“Assolutamente si. Ad esempio quando ho interrogato Giovanni Brusca, parlo di lui ma ne potrei citare tanti altri, ho sempre cercato di entrare nel suo mondo, di capire quali erano le dinamiche che governavano il suo agire. Se non entri dentro non riesci a dare una logica ai suoi comportamenti e quindi ai disegni criminosi sottostanti”.
L’ex procuratore Lepore sostiene che lei era fissato per Totò Riina?
“Mi sono fissato con Riina come mi sono fissato con tutti i camorristi e mafiosi che ho fatto condannare. E sono tanti. Non mi sono mai accanito sul piano personale contro nessuno, ho solo fatto il mio dovere di magistrato utilizzando gli strumenti del diritto”.
Ma ha subito anche tante minacce …
“Si, è capitato spesso. Le prime minacce si verificarono a Nola, nel 1997 quando mi occupai dello scandalo Italgest, che riguardò 12 tesorerie comunali. Mi arrivarono molte lettere e telefonate anonime. Ricordo che una volta, durante un interrogatorio, un camorrista tentò di impaurirmi dicendomi che sapeva che facevo footing. In questi casi il senso di essere spiato da molto più fastidio delle minacce”.
Lo Stato ha revocato la scorta a tante persone minacciate, le mafie dimenticano?
“Dipende, bisogna valutare caso per caso. Però ci sono fatti indimenticabili”.
Hanno tentato di togliere la scorta anche al Capitano Ultimo…
“Secondo la mia personale opinione ritengo che la cattura di Totò Riina sia stato un fatto così eclatante e fondamentale per lo scardinamento dell’organizzazione mafiosa che, purtroppo, il capitano Ultimo non potrà mai fare a meno della scorta”.
Fonte : PositanoNews.it