The greatest showman all’Armida a Sorrento, il vero film di Natale con un gran Hugh Jackman . Passiamo una serata rilassante e serena , fra pizza e cuoppo dell’elegante ristorante Basilico un sicuro brand di successo, le sale rinnovate , che fanno della struttura di Maurizio Mastellone una delle migliori della Campania, sia per il cinema che per manifestazioni ed eventi, e qui si fanno solo di qualità, i cinepanettoni fanno parte del gioco , ma il film che ci ha colpito piacevolmente è stato The greatest shoman, Barnum “personaggio controverso” , ma possiamo dire anche lo Steve Jobs dell’Ottocento, sicuramente un uomo coraggioso e pieno di energia e fascino. Se volete passare una bella serata, fra luminarie e concerti offerti dal Comune, per chiudere con un buon film, venite qui e vedete The greatest shoman. Un cinema che ha un’offerta diversificata
Ci sono tante recensioni chi punta il dito , chi no, ma il film, un musical con le voci in originale dei protagonisti, a noi di Positanonews ci è piaciuto. Ognuno di noi è speciale e nessuno è uguale a un altro. Era questo il motto di Phineas T. Barnum, il padre dello show business, l’impresario circense più celebre della storia, come riporta Il Mattino oggi. Che ha incantato l’America dell’Ottocento con i suoi spettacoli a base di personaggi incredibili. Il gigante irlandese, la donna barbuta, la ragazza gallina, i fratelli siamesi, il ragazzo senza gambe e una schiera infinita di nani, acrobati, contorsionisti, giocolieri. Adesso il film The greatest showman, dal 25 dicembre al cinema, ne ripercorre la storia. A interpretarlo uno stellante Hugh Jackman, che restituisce appieno la spregiudicatezza, la verve, il coraggio imprenditoriale e la sfrontatezza mercantile dell’uomo che ha inventato l’intrattenimento di massa.
I suoi show rutilanti e sorprendenti avevano al centro dei freaks, dei mostri, come venivano chiamate allora quelle creature sfortunate – tipo il commovente elephant man protagonista del film omonimo di David Lynch – che attiravano folle sterminate di spettatori. Gente morbosamente curiosa di ammirare queste drammatiche eccezioni della specie. In cerca di un’esperienza straordinaria, sbalorditiva, unica. E Barnum non li deludeva. Anzi. Perché in ciascuno di quei capricci della natura riusciva a cogliere un pizzico di magia. Almeno così lo descrivono gli sceneggiatori Jenny Bicks e Bill Condon, con il significativo contributo dello stile musical romantico del regista Michael Gracey, che firma la pellicola. Il messaggio del film è decisamente ottimistico e a suo modo idealista, perché insiste sul fatto che ogni diversità è un’opportunità. Ogni disabilità una chance. E qualsiasi sfortuna può rovesciarsi in una fortuna. Inoltre mostra come la solidarietà tra gli emarginati, gli ultimi, i negletti, sia la vera arma per prendersi una rivincita sulla società. Insomma la morale di questa favola di Natale, divertente ed emozionante, è che solo i visionari possono cambiare il mondo.
Va detto però che il film è molto liberamente ispirato alla biografia di Barnum. Che nella realtà non era esattamente uno stinco di santo, né tantomeno un uomo politically correct come viene descritto ora, da una produzione cinematografica più attenta ai buoni sentimenti che alla verità storica. Il merito del vero Barnum, infatti, è di aver inventato l’industria del divertimento. Anticipando la società dello spettacolo. O forse addirittura gettandone le fondamenta. Il suo palazzo di cinque piani a Broadway, segnalato da un’insegna a caratteri cubitali rossi su sfondo bianco con la scritta Barnum’s American Museum, viene inaugurato nel 1841. Per oltre venti anni è il luogo più visitato d’America. Aperto sei giorni a settimana, quindici ore e quindicimila persone al giorno. Dai nobili ai borghesi, fino agli operai. Che possono assistere a uno spettacolo, approfondire le conoscenze scientifiche, consolidare la propria coscienza morale seguendo delle lezioni di etica. Oppure esercitare il più classico voyerismo osservando fenomeni da baraccone. O falsi reperti, come lo scheletro di Cristoforo Colombo. Ma anche glorie patriottiche come la nutrice del presidente George Washington, giunta all’improbabile età di 160 anni. E infine la bella Josephine Clofullia, viso da venere e barba da hipster. Ma il pezzo forte è la sirena delle Figi, con la quale l’abilissimo Phineas sbanca il botteghino. Mettendo in scena la più grande truffa parascientifica del secolo. Con le parole di oggi diremmo che inaugura la moda delle fake news. Attraverso una miriade di articoli pubblicati sui giornali popolari dell’epoca, che poi risulteranno tutti scritti di suo pugno sotto falsi nomi, annuncia l’arrivo nella Grande Mela di un esemplare di sirena. Una donna pesce imbalsamata, alta quanto una lampada da tavolo e conservata sotto una campana di vetro. Phineas ospita la mitica creatura nel suo museo e invita una serie di scienziati di grido ad analizzare il reperto archeo-marino. Ma li espone subito alla gogna mediatica, denunciando pubblicamente l’atteggiamento sprezzante di quei luminari, che considerano le sirene frutto della fantasia e perciò non sentono il bisogno analizzare un bel niente. Possiamo immaginare che nessuno di loro volesse cadere nella trappola tesa dall’astuto mistificatore. Che per tutta risposta invita il pubblico a giudicare con i suoi occhi l’esemplare incriminato. Pagando il biglietto, s’intende. E una folla oceanica sfila per mesi davanti alla misteriosa creatura. Che in realtà è un falso clamoroso, confezionato in Giappone, dove il mercato degli ibridi posticci in quegli anni è molto fiorente. Vengono abilmente cuciti insieme il busto di un babbuino e la coda di un salmone. E il gioco è fatto. Tra i numerosi testimonial ci sono anche Charles Dickens e George Cruikshank, il celebre illustratore di Oliver Twist, che vedono lo stesso esemplare a Londra una ventina d’anni prima. Cruikshank ci ha lasciato un bellissimo disegno della sirenetta taroccata, che si regge in piedi sulla lunga coda di pesce, il seno pendulo e un visetto scimmiesco, lontanissimo da ogni incanto seduttivo. In quel periodo vengono anche fatte numerose copie in legno, che sono ancora visibili in alcuni musei, come la Kunstkammer Georg Laue di Monaco.
Lo scopo di Barnum però non è quello di convincere il pubblico di avere trovato una vera sirena, ma quello, molto più subdolo, di spingere la gente comune a sentirsi in diritto di giudicare da sé. E a esprimere la propria opinione, senza alcuna sudditanza. Senza timore reverenziale nei confronti degli esperti. Phineas insomma sfrutta a pieno regime il motore sperimentale dell’osservazione naturalistica, ma lo fa girare a macchina indietro. Se, infatti, il dubbio è la vera lezione della scienza, the greatest showman trasforma il dubbio scientifico in un segno di debolezza. Insomma fa fare autogol agli scienziati. Dando così il calcio d’inizio a quell’antiscientismo diffuso che oggi ha trasformato la rete nel nuovo museo del populismo globale. Un circo liquido, popolato da freaks digitali.
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