L’evento riguarda la celebrazione dei 250 anni dalla morte di Luigi Vanvitelli organizzata dalla FIDAPA…
L’evento riguarda la celebrazione dei 250 anni dalla morte di Luigi Vanvitelli organizzata dalla FIDAPA Sezione Penisola Sorrentina. Il libro presentato, intitolato “Vanvitelli Segreto” a cura di Nando Astarita, approfondisce vari aspetti della vita del celebre architetto. La presentazione avverrà presso il Museo Archeologico “G. Vallet” a Villa Fondi a Piano di Sorrento, il 13 dicembre 2023, alle ore 16:30.
Durante l’evento, interverranno la prof.ssa Mena Gentile, presidente della FIDAPA Penisola Sorrentina, l’arch. Giacomo Franzese, direttore del Museo Archeologico “G. Vallet”, e la ph.d. Giuseppina Ferriello. Saranno presenti anche gli autori, tra cui l’ing. Andrea Basile, il dr. Antonio Della Valle, e l’arch. Giuseppina Torriero Nardone.
Se sei interessato all’arte locale e alla storia, potresti trovare interessante partecipare a questo evento che si propone di approfondire la figura di Luigi Vanvitelli, un personaggio di rilievo nella storia dell’architettura.
dalla LA TERRA DELLE SIRENE N° 21
SORRENTO NELLE LETTERE DI LUIGI VANVITELLI
di Raffaele Palmieri
Nel 1 976 venivano pubblicate da Francesco Strazzullo Le lettere di Luigi
Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, in tre volumi, grazie
all’editore Congedo di Galatina (Lecce). Sono indirizzate al fratello don
Ubaldo, abate della Chiesa Nazionale dei Fiorentini a Roma; sono presentate
dallo Strazzullo cronologicamente ed hanno una numerazione progressiva.
Essendo lettere scritte da fratello a fratello, esse sono estremamente
confidenziali: contengono le ansie, i timori, le soddisfazioni, ma anche segni
di sconforto, di scoramento, di stanchezza avuti durante la progettazione e la
realizzazione della Reggia di Caserta, complesso voluto dalla regina Maria
Amalia di Sassonia e dal consorte re Carlo di Borbone. Luigi comunica al
fratello l’invidia e la gelosia di altri architetti per il prestigioso incarico a lui
affidato, le difficoltà incontrate, gli sviluppi della sua carriera. Quando riceve
il suo primo mandato di pagamento, ne dà notizia a don Ubaldo con
soddisfazione, anzi gliene invia una copia. Fa dire messe e preghiere ai santi
ed a suffragio dei suoi cari defunti, perché lo proteggano nell’opera
intrapresa. Non mancano in queste missive l’interessamento per i propri figli,
l’apprensione, a volte, per la loro salute, le preoccupazioni per il loro
avvenire. C’è anche il ricordo di una sua umana debolezza: la passione per il
gioco del lotto; gioca spesso, ma non è fortunato ed una volta, piuttosto
demoralizzato, confessa al fratello che in questo gioco si vince quando non si
gioca.1 Le lettere contengono anche notizie di carattere politico, nonché la
‘ Yd. lettera n. 1 0 1 1 (Napoli, 16 novembre 1762). In oltre 40 lettere si fa cenno, tra l’altro,
al gioco del lotto, ai numeri che devono essere giocati alla luce dei loro ritardi, ecc.
48 RAFFAELE PALMIERI
La lettera n. 784 (Napoli, 30 agosto 1 760) parla delle difficoltà che
incontra il Vanvitelli per fare avere ai figli pensioni ecclesiastiche, della
fabbrica della Regia che “cammina bene” ed infine ricorda un incidente . . .
diplomatico i n casa della principessa di Camporeale, dove il contino don
Luigi d’Aquino sparla del Nunzio Apostolico di Napoli, mons. Giuseppe
Locatelli”.4
‘ Ottimi erano i rapporti tra Vanvitelli e questo Nunzio, di cui l ‘architetto aveva cercato l a
preziosa amicizia. Anzi nella lettera n . 7 1 0 i l Vanvitelli aveva esplicitamente confessato al
fratello Ubaldo che faceva la corte al monsignore, che riteneva “molto più sciolto”, cioè molto
più alla mano dei precedenti Nunzi. Questa corte era però interessata, come si evince da altr
lettere: infatti Vanvitelli voleva, tramite le raccomandazioni di mons. Locatelli, far avere a1
suoi figli qualche pensione ecclesiastica. Ma, nonostante la grande amicizia ce si ea
instaurata tra i due (spesso mons. Locatelli e Vanvitelli stavano insieme; sovente Il Nunzio
veniva a Caserta a visitare la Fabbrica della Reggia o si recava a Maddaloni dove si stava
costruendo la monumentale opera dei Ponti della Valle, che avrebbe permesso di far affivare
l’acqua alla Reggia), l’ecclesiastico non riuscì a favorire l ‘amico.
Mons. Giuseppe Locatelli fu Nunzio pontificio a Napoli dal I 760 al I 763. “Patria di
questo prelato fu Milano, ove venne al mondo il 7 gennaio I 7 I 3. Uomo di dolci costumi e di
placida indole, abbracciò volenteroso lo stato ecclesiastico, ed entrato in prelatura mostrò non
ordinaria perizia nelle faccende dello Stato, onde la S. M. di Clemente XIl1 nell’elrae
dell’anno 1 760 lo promosse ad arcivescovo di Cartagine e gli affidò la Nunziatura pont1fic1a
di Napoli, del qual ufficio prese tostamente possesso. Non lievi difficoltà ebbe a sostene·e
durante la sua amministrazione, innanzi tutto per lo spirito d’irreligione, che ogni dì più
andava allargandosi, ostile alla Santa Sede. Conoscente appieno delle inique trame ordite dagli
empi a darmo della cattolica religione, di animo retto e coraggioso, mise quanto era in sé a
calmare la furiosa tempesta sempre più imperversante contro la Chiesa, ed in ispecie contro la
Compagnia di Gesù, sin d ‘allora fatta segno anche alle ire delle corti Borboniche, tralle, ez
lor colpa, in ingarmo da una calunnia scaltrissimamente apposta ai testé mentovati relig1s1
dagli iniziati all’empia filosofia degli Enciclopedisti francesi in Ispagna, in Francia ed in Italia.
Ma in breva (sic) sopraffatto da mortale infermità, rese l’anima al suo creatore, che volle cosl
risparmiargli l’essere spettatore dell’iniquo bando, che poi seguì, di questa illuse
.
e
benemerita Compagnia, bando che d’immenso lutto riempì l’animo di tutti i sinceri cattolici e
singolarmente di S. Alfonso Maria De Liguori. Nel pavimento del sacro tempio di S. rui
degli Angeli a Pizzofalcone si legge avanti il maggiore altare una lapide commemorativa
_
di
Mons. Giuseppe Locatelli, Patrizio milanese, Arcivescovo di Cartagine, Nunzio apostolico
presso Ja real Corte di Napoli, carissimo al re Ferdinando IV, morto nel 1763 in età di
_
anni 50′.’
(cf. N. CAPECE GALEOTA, Cenni storici sui Nunzi apostolici residenti nel Regno dt Napoli,
Napoli 1877, p. 74 s.).
SORRENTO NELLE LE7TERE Di LUIGI VANVITELLI 49
“Accadde l’altro giorno un fatto gra.1:ioso, dal quale si conosce l’indole del Paese e della
Nobiltà senza educazione. L’ottimo Monsignore Nunzio gentilissimo, siccome egli va la sera
in giro per le conversazioni, come far deve un Ministro e come à.Jmo fatto gli altri antccessori,
si portò a quella della Signora Contessa di Palcna d’Aquino, ove si tratteru1e fin’allc 3 e più
. della
_
notte. Questa Signora è solita, verso rnc7.za notte, di far venire una piccola cenetta, ove
quelli della conversazione domestica mangiano un boccone e poi se ne vanno. Essendovi i l
Nunzio, persona di soggezzione (sic) e non di conJiclenza, non ordinò la cena all’ora solita.
Monsignore, che non sapea nulla della cena, si andava trattenendo per uscire con gli alu·i della
conversa? ione, ma vedendo che si allungava finalmente se ne partì. Dopo ciò venne subito la
solita c?na e cenarono tutti . 11 giorno seguente Monsignore andiede a visitare la Prencipessa
(sic) cli Campo Reale e la nuora, che giocavano con altri Cavalie1i. Stando così in
conversazione, sopraggiunse il Contino D. Luigi d’ Aquino, figlio della Contessa cli Palena,
senza badare a niuno, ma sol tanto alle Dame che giocavano, si pose presso di loro a sedere e
parlare. Queste l’interrogavano come slava egli, la Contessa madre, etc. Rispose: Stiamo bene
di salule, come Dio vole, percfté ieri sera ci accadde 1111a della maggiori disgrazie del mondo
a noi lutti di Casa, percfté quel grandissimo seccatore di pretazzolo di campagna, quel/o che
pare la morte di Sorrenlo, non voleva parlirsene da noi e non potevamo cenare e tutti erano
seccali per aspetlare cfte se ne andasse al diavolo. Citi? Citi? d issero le Drune. Eh, quando vi
dico quel prelauolo di campagna, quel secca/ore, citi mai vole/e che s’intenda se non il
Nunzio nuovo, parendoli avere detto cose spiritose. Rivoltando il capo, dove non aveva ancora
guardato, riconobbe esservi il Nun7.io presente, il quale aveva senlila l’energia del suo
spiritoso discorso. Il Conlino rimase attonito e muto, impallidì e gli venne uno svenimento cosl
forte, che convenne ricoJTere a spiriti ed acque, ma seguitando, mi si dice che s i arrivò alla
sanguigna, la Dama giovane incominciò a venirli gli effetti di utero e scontorcersi, la vecchia
eliquò, in somma si pose la casa sotto sopra. Monsignore in questo sconvolgimento, alla
trancese le1110 pede se ne partì. Credo che vi siano passale delle scuse o altro che non so, ma
il fatto è così passato”.
L’espressione “la morte di Sorrento” con cui viene apostrofato monsignor
Locatelli è attestata dal Seicento e forse è anche più antica. È presente in
un’opera di Giulio Cesare Cortese, La rosa, fa vola (Napoli 1621), atto II,
scena m, verso 39 ed ancora nel Cunto de Li cunti di G. B. Basile e
precisamente nel cunto intitolato Li dui fra tiel/e (Tra ttenimento secunno de
la iornata quarta). Qui si parla di una principessa, figlia del re di Campo
Largo, che è mollo ammalata e che viene guarita da un tal Marcuccio, con
l’ausilio di una polvere magica. Questi, avvicinatosi al letlo della poveretta,
“trovaie chclla sbentorata figl iola … cossì conzomata e arrecenuta che aveva
si no l’ossa e la pella; l’uocchie erano trasute ‘n rinto, che per vedere le visole
‘nce voleva l’acchiaro de lo GaWeo, il naso era cossì affi lato, che se poteva
SORRENTO NELLE LETTERE DI LUIGI VANVITELLI 5 1
Come si è potuto notare alcuni scrittori hanno usato il paragone con la
“Motte di Sorrento”, e lo mette in evidenza anche lo stesso Amalfi,8 per
indicare una persona scarna, emaciata, dalle guance incavate, orripilante,
insomma brutta a vedersi. Lo stesso Amalfi segnala che tale espressione “è
anche passata nel popolo, tanto che un canto di Giugliano comincia: Tu
vavattenn.e, Morte de S9rrien.to I Nu ‘ fa ‘ vuta ‘ lu stommaco a li ggente/”9
La lettera n. 1 0 1 8 (Napoli, 1 1 dicembre 1 762) si apre con un cenno ad un
problema internazionale: la guerra è finita tra Austria e Prussia, ma
quest’ultima, nonostante la pace fatta, opprime l’Austria. Intanto il Vanvitelli,
che ha un animo buono, fa favori agli amici ed in quest’occasione cercherà
di far avere al pittore Gerolamo Starace10 calze di seta di Sorrento.
“Procurerò di ritrovare le calzelle di 1 1 once di Sorrento, credo che saran di seta cruda,
perché di Sorrento vi sono ancora quelle bianche di seta colla”.
La seta cruda è quella naturale che, se da una parte è più rigida, dall’altra
presenta colmi più b1illanti di quella cotta. Quest’ultima ha però il vantaggio di
essere più morbida. Manfredi Fasulo afferma che “la tessitura delle sciarpe,
calze ed altri lavori in seta è la più antica industria della penisola”.11 Da
ricordare anche quanto dice lo Stolberg, che fu a Sorrento nel 1792. Egli scrive
che “la manifattura della seta provvede da vivere a molte famiglie e qui, come
a Capri, si vedono donne al piano supe1iore delle loro modeste case o sedute
ali’ ingresso sui loro scannetti, tutte intente a lavorar fettucce al telaio”.12 Nella
8 AMALFI, op. cit., p. 4 1 .
• Ibid.
‘0Non si conoscono molli dati biografici s u questo pittore; ignoriamo anche l’anno di
nascita e quello di morte. Fu uno dei maggiori collaboratori del Vanvitelli e, tra le altre opere
esegu ite nella Reggia, sua è anche la splendida decorazione della volta dello Scalone. Nella
chiesa di S. Sebastiano a Caserta è conservata un’ altra sua opera: Madonna del Rosario e santi
domenicani. A Marcianise, nella chiesa del!’ Ave Gralia Piena ha dipinto Lo caduta sotto la
croce, La incoronazione di spine, l’An111111ciazione e L’elemosina di S. Lucia. Insegnò anche
nel! ‘ Accademia Napoletana di Disegno. Per questo e per ulteriori notizie e approfondimenti
cf. N. SPINOSA, Pi/lori 11apoleta11i del Secondo Settecenlo, Gerolamo Starace, in «Napoli
Nobilissima», voi. XIII, fase. ID, Napoli 1974, pp. 8 1 -97; IDEM, Pillura napoletana del
Settecento. Dal Rococò al Classicismo, voi. II, Napoli 1988, p. 499 s.
11 Cf. M. FASULO, La penisola sorrentina, Napoli I 906, p. 247.
“Cf. B. IEZZI, Viaggiatori stranieri a Sorrento, Sorrento 1989, p. 30.
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letlera n . 1 247 (Napoli, 22 aprile 1766) Vanvitelli, tra l ‘altro, dà notma al
fratello di due furti sacrileghi avvenuti nel Regno: un pregiudicato ha rubato
l ‘ ostensorio con l ‘ ostia consacrata nella chiesa di S. Maria degli Angeli a
P izzofalcone ed il figlio di un organaro i n una chiesa di Sorrento ha trafugato
la pisside piena d i particole. Ecco come viene presentato l’episodio son-entino:
“A Sorrento parimenti il figlio dell’organaro, che accomodava l ‘organo, rubbò (sic) la
pisside piena di particole e la sotterrò nell’orto sotto un piede di fico, per riprenderla a suo
comodo. li Vescovo fulminò scomuniche, ricerche, etc. Questo ragazzaccio andiede a
confessarsene al paroco stesso, indicandogli iJ loco; il paroco ancliecle e recuperò la pisside. Il
Vescovo volca omninamente sapere dal paroco chi gli l’aveva eletto. Egli replicò averlo saputo
in confessione e non poterlo dire. Fu carceralo il paroco dal Vescovo e fatto il processo di chi
aveva confessato; in somma, per farla breve, è stato carcerato il ragazzaccio, che sarà
impiccato, e crederei che, secondo l ‘ ordine sacerdotale, dovrebbe accompagnarlo anche
Monsignore Vescovo Silvestro Pepe” in un’altra forca più alta e pii:1 bella, giacché qua non si
vuole il S. Offizio che, secondo ognj buon Catolico (sic), è Santissimo Tribunale per tutti i
disordini di quelli che sbagliano nel Credo, etc.”.
Questa breve caITellata di piccoli flash sulla Sorrento del Settecento si
conclude con la lettera n. 1 27 1 (Napoli, 22 luglio 1 766), che conserva i l
ricordo d i u n a “galeotta spagnola”, fabbricata a Sorrento.
“qua [cioè a NapoliJ sono venule tre galeolle spagnole, per prendere la quarta fabricata
(sic) a Sorrento; ànno portato seco tutto l ‘equipaggio. Nel venire in Italia s’ incontrarono con
un sciabecco turco di otto cannoni; lo combatterono e fecero preda, con perdita di otto uomini
e nessun’officiale”.
Nell’ introduzione a questa lettera lo St:razzullo scrive che il luogo dove fu
armata la “galeotta” fu Castellammare di Stabia e non Sorrento, forse
ignorando che Sorrento a quel tempo era famosa pure per i suoi “maestri
d’ ascia”, che costruivano oltre ai “gozzi”, imbarcazioni caratteristiche della
zona, anche navi di grande prestigio.14
13 Su mons. Silvestro Pepe, arcivescovo di So1Tento dal 1 759 al 1 803, cf. P. FERRAIUOLO,
La Chiesa sorrentina e i suoi pas/ori, Sorrento 199 1 , pp. 207-2 1 0.
“Per la costruzione di navi a Sorrento nel Settecento cf. M. SmAGO, la tradizione
marinara e la scuola ncn11ica di Pia!10 di Sorrenlo, Sorrento 1 989, p. 48 s. e passim. A questo
volume rimando per la bibliografia precedente. Da notare che nel Settecento
Fonte : PositanoNews.it